Un lettore mi ha chiesto come mai non ho ricordato, tra i governi tecnici, quello Dini, rimasto in carica un anno mezzo, tra 1995 e il 1996.
In effetti, quel governo varò la riforma del sistema pensionistico, che passò dal sistema retributivo a quello contributivo, introducendo limiti qualitativi e quantitativi. Una riforma utile per le casse dell’Inps, però tuttora impopolare. E comunque sia, si trattò di una misura dirigista. Per il resto, come si usa dire, Dini “traghettò” l’Italia verso le elezioni vinte dall’Ulivo di Prodi.
Ciampi, che fu il primo premier della Repubblica non membro del parlamento, quindi “tecnico” in senso assoluto, governò durante la tempesta di Tangentopoli, tra il 1993 e il 1994. Durò poco più sei mesi. Ed è ricordato in particolare per il tentativo di politica dei redditi sfociato nell’accordo del 3 luglio 1993 tra Confindustria e Sindacati in cui si stabiliva un tetto alle retribuzioni nei contratti di lavoro, tetto collegato all’inflazione programmata. Una misura dirigista.
Dini e Ciampi ebbero il sostegno, diretto o indiretto, di maggioranze di centro-sinistra.
Infine il governo Monti, che durò un anno mezzo tra il 2011 e il 2013, introdusse una serie di misure di liberalizzazione del mercato del lavoro alle quali affiancò un durissimo giro di vite fiscale e sulle pensioni, varando infine due leggi finanziarie pesantissime per i cittadini. Però rispetto ai governi Ciampi e Dini, quello Monti fu meno dirigista. Anch’esso ebbe il sostegno di una larga maggioranza di centro-sinistra, inclusi i centristi di Forza Italia.
Se questi sono i precedenti, cosa aspettarsi da Draghi? Qualcosa di diverso da un dirigismo, più o meno manifesto, e da giri di vite, come scrivevamo ieri, in chiave di monetarismo di sinistra?
Oggi sul “Giornale” Nicola Porro insiste (perfidamente?) sulle posizioni di Draghi a favore dei programmi di privatizzazione dei primi anni Novanta, invitandolo (o sfidandolo?) a ripercorrere quella strada…
Cosa distingue un tecnico da un politico? Che il tecnico fiuta l’aria e si adegua. Sostanzialmente è un esecutore dello spirito dei tempi. Tradotto: delle idee che al momento prevalgono nella pubblica opinione. Per contro, il politico, soprattutto se di razza, cerca di imporre le proprie idee, anche a rischio di entrare in conflitto con lo spirito dei tempi. E qui si pensi all’epico e solitario duello di Margaret Thatcher con i minatori inglesi.
Ciampi, Dini e Monti fecero invece ciò che loro chiedevano i vari gruppi di pressione italiani e non: pace sindacale, riforma delle pensioni, corposi tagli di bilancio.
Il che spiega l’atteggiamento da “privatizzatore” di Draghi quando era Direttore generale del Tesoro (1991-2001). Perché sulle privatizzazioni – ecco lo spirito dei tempi – era d’accordo perfino la sinistra. Si pensi infatti alle campagne d’opinione di “Repubblica”, ma anche alle posizioni favorevoli di Occhetto e D’Alema.
Pertanto, Draghi, semplificando, ora è keynesiano come prima era thatcheriano.
Carlo Gambescia