Mario Draghi e il monetarismo di sinistra

Sgomberiamo  subito il campo della nostra analisi dalle  false piste dei social, tipo hanno vinto la Bilderberg, i capitalisti e i banchieri privati, eccetera… Stupidaggini.

In realtà, ha vinto il monetarismo di  sinistra e quel coacervo di interessi economici e  politici che lo innerva,  di cui Draghi è buon teorico ed esecutore.  Una teoria e una pratica  che più che al libero mercato guarda al capitalismo finanziario di stato o di superstato (l’Ue ad esempio), nel senso di controllo dei flussi monetari e di monitoraggio del  debito pubblico da parte delle banche centrali.  Che rivendicano –  sintetizzando – il controllo della liquidità, cioè dei flussi di denaro  che il monetarismo, facendosi di sinistra, vuole indirizzare, perché di sinistra, quindi con l’approvazione e l’incoraggiamento delle classi politiche “progressiste”, verso processi redistributivi dei reddito. Come?  Usando  la  leva fiscale, strumento politico per eccellenza, per drenare verso l’economia  i cosiddetti risparmi giacenti  ad esempio sui conti correnti,  tassandoli o addirittura espropriandoli.

Per capirsi: mentre il monetarismo di destra  (quello originale friedmaniano) si limita a lavorare sui tassi di interesse, lasciando poi che il mercato faccia liberamente il suo corso, il monetarismo di sinistra, interviene attivamente, non solo sui tassi,  ma acquistando e vendendo titoli pubblici, per favorire un uso redistributivo da parte dello stato – ecco l’ideologia di sinistra  – della spesa pubblica. Per inciso, il che non significa, per chi abbia letto Hayek come il sottoscritto, che il monetarismo di destra abbia ragione.

Draghi rappresenta e gestisce  il capitalismo di stato (o di superstato)  che vende e compra titoli pubblici per sostenere  un’economia della spesa pubblica, che ovviamente, considerati i tassi di sviluppo degli ultimi venticinque anni,  non può essere più quella di una volta. Di qui la retorica dei tagli e del rigore fiscale, in nome però di una società più giusta (idea di sinistra) sulla quale veglierebbero, nonostante ufficialmente  separate,  Stato e Banca e Centrale. Si potrebbe parlare di capitalismo finanziario di stato (o di superstato). Altro che laisser faire, laisser passer

Ciò significa anche un’altra cosa: che nonostante si rivendichi l’autonomia delle banche centrali, in realtà nei fatti, non è cambiato nulla, sicché  per ragioni di bilancio    ogni acquisto e vendita di debito pubblico finisce per rafforzare inevitabilmente il micidiale intreccio tra stato e banca centrale. Altro che laisser faire, laisser passer

Diciamo pure che gli interessi al controllo della libera  economia e alla acquisizione di rendite oligopolistiche politiche ed economiche  sono più forti di ogni teoria sulla distinzione tra banca centrale e stato  e sulla libertà di mercato.  Mario Draghi, senza darlo troppo a vedere, per anni alla Presidenza della Bce, ha svolto questo ruolo  di somministratore di capitali di stato o sovrani, punta di lancia de monetarismo di sinistra. Una politica economica   che si potrebbe  denominare monetarismo redistributivo. Ovviamente, una politica che vede di buon occhio Mes e Recovery Found. Altro che laisser faire, laisser passer…  

In soldoni, cosa può significare tutto questo per l’Italia, ora che Draghi sembra vicino al  potere?  Sicuramente, la fine di bonus e ristori, in nome di bilanci più rigorosi. Cosa che potrebbe anche essere giusta, che però il monetarismo di sinistra, promettendo in cambio una più equa redistribuzione fiscale, collegherà a una stretta fiscale sui ceti medi e medio-alti per spingere ad acquistare titoli di stato e così finanziare la politica, tipica della sinistra, del tassa e spendi in nome della mitica e progressiva eguaglianza fiscale e dei redditi.

Ora pretendere di tassare ceti medi, già stremati dalla crisi, significa gettarli, prima o poi,  nelle braccia di qualche demagogo fasciocomunista prossimo venturo.

Però è così: nel monetarismo di sinistra c’è una forte impronta dirigista e autoritaria, frutto di un elitarismo guercio, che mina le radici della liberal-democrazia  basata sul principio  liberale del “No taxation without representation”.   

Si marca male.  In qualche misura, Mario Draghi rappresenta il proseguimento con altri mezzi  (economici) delle politiche autoritarie (con mezzi politici) di Giuseppe Conte.  

Di male in peggio.

Carlo Gambescia