Giorgia Meloni, “nun ‘gna fa”

Pure oggi, dirà il lettore… Basta Gambescia ha rotto… Forse. Però si legga qui:

«Nel giorno in cui l’Italia celebra la Liberazione, che con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia, ribadiamo la nostra avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari. Quelli di ieri, che hanno oppresso i popoli in Europa e nel mondo, e quelli di oggi, che siamo determinati a contrastare con impegno e coraggio. Continueremo a lavorare per difendere la democrazia e per un’Italia finalmente capace di unirsi sul valore della libertà».

Parole di Giorgia Meloni. Al momento non abbiamo trovato traccia di questo messaggio sulla pagina del Governo né su quella di Fratelli d’Italia. Ma non è questo il punto.

A destra si asserisce che la sinistra soffra di isterismo, e che ogni volta che la destra vince le elezioni, inizi a gridare al lupo fascista. Quindi sarebbe tutta una manfrina antifascista, da parte di un pugno di ricchi e famosi di sinistra: snob che temono di essere scalzati.

Ammettiamo pure che il lettore si sia stancato dei non pochi nostri articoli dedicati all’argomento di Fratelli d’Italia che-non-ha-tagliato-le-radici-con-il-passato-fascista ( o neofascista, decida il lettore). Chiediamo scusa. Però, non passa giorno, che Giorgia Meloni, non provi, come diceva un noto filosofo del Novecento, Gianfranco Funari, di non farcela. “Nun ‘gna fa”. Non riesce a tagliare i ponti con il fascismo.

Si prenda il post sul 25 Aprile, annega la fine del fascismo nell’oceano del totalitarismo. Non c’è alcuna presa di posizione politica specifica. Il fascismo si è manifestato in Italia non nella Terra di Mezzo. Queste cose vanno dette.

Attenzione, non siamo così ingenui da ritenere che una frasetta, in più o in meno, possa di colpo cambiare quella che è la linea culturale predominante – attenzione culturale – dei fascisti dopo Mussolini, dal Movimento sociale a Fratelli d’Italia.

Probabilmente, in Giorgia Meloni, giocano un ruolo anche elementi di calcolo personale: non vuole fare la fine del “riformista” Gianfranco Fini. Il “nuovo Badoglio” lasciato affondare nella melma giudiziaria, in cui, volente o nolente, si è ficcato. E così evita di esporsi troppo sull’antifascismo. Gioca la carta del vittimismo, della sinistra dedita alle persecuzioni di innocui hobbit, che si accanisce, di “persona personalmente” addirittura su di lei. E quindi che fa? Punta sull’afascismo: sul parlare il meno possibile del fascismo, giusto il minimo indispensabile come nel post sul 25 Aprile.

Inoltre, come abbiamo scritto (*), anche gli italiani, abilissimi nel nascondere la polvere intergenerazionale del fascismo condiviso sotto il tappeto, hanno le loro responsabilità.

Però quello che va evidenziato, e che sfugge alla sinistra, è il pericolo, che nella neutralizzazione del fascismo (si legga: afascismo), si nasconda tutta la forza della tentazione fascista: un fatto culturale, prima che politico.

Pensiamo al forte rischio per la sorte della liberal-democrazia legato alla riproposizione del romanticismo prefascista: un coagulo culturale, pseudo-eroico, di tematiche gerarchiche, nazionaliste, reazionarie e razziste, tipico di una cultura politica, romantico-decadente, critica, e in chiave demolitiva, del liberalismo e della modernità. Che precede, per poi affiancare e strutturare il fascismo. Abile anche nel nascondersi, dietro tratti moderni, anzi modernisti, come nel caso di certe non belle pagine del futurismo marinettiano, una volta istituzionalizzato come pseudofilosofia di regime.

Non basta gridare al nuovo fascismo o insultare rozzamente Fratelli d’Italia. Per la semplice ragione che la gente comune, abituata fare due più due uguale quattro, non vede in giro camion Fiat 18 BL carichi di squadristi, ma solo melliflui ministri e deputati incravattati e impomatati, che ripetono, a cominciare da Giorgia Meloni, di essere vittime innocenti di ingiuste campagne di odio condotte da una sinistra ricca e isterica. Che, come Scurati, sarebbe sempre pronta ad approfittare del denaro pubblico…

Come spiegare al pigro popolo, che alla libertà preferisce la sicurezza, tutta la pericolosità del romanticismo prefascista? Di un clima? Cioè di qualcosa che i più non percepiscono?

Difficile dire. A proposito di preferenza per la sicurezza rispetto alla libertà, in Italia, nei cosiddetti ambienti semicolti e non solo dentro Fratelli d’Italia, si parla ancora bene di Mussolini per il premio di natalità alle famiglie: patriarcalismo, per giunta bellicista, all’ultimo stadio. Come pure di altre misure sociali, a partire dalla Carta del Lavoro fascista, che invece soppresse la libertà sindacale. Solo per dirne una – lanciamo una sfida – nessuno ha mai chiesto a Giorgia Meloni, nelle numerose conferenze stampa, un giudizio sulla Carta del Lavoro.

Cioè come spiegare alla gente comune che il romanticismo prefascista, criticando la modernità illuminista, prepara il terreno all’individualismo (si fa per dire) dei furbi capi carismatici? Che romanticamente sostengono l’impossibile? Di voler fondersi con il popolo? Chi non ricorda il mito politico fascista del Duce che trebbia il grano nell’ “Agro redento”. Per due ore…

Sono concetti complicati, non alla portata di tutti. Pertanto, la stragrande maggioranza delle persone, per usare una metafora banalissima, vede il fumo della persecuzione politica contro Fratelli d’Italia, ma non l’arrosto del clima culturale prefascista.

Dicevamo all’inizio del “nun ‘gna fa”… Ma perché Gorgia Meloni dovrebbe farcela? Se la sinistra le facilita il compito, accusandola di fascismo politico, quando invece si tratta di prefascismo culturale? Cioè la sinistra immagina ovunque Fiat 18 BL carichi di fascisti e trascura l’immaginario che potrebbe inzepparli di nuovo?

Carlo Gambescia

(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/04/liberazione-la-celebrazione-che-divide.html .