Se fossi un libraio accetterei di mettere in vendita, tra i miei scaffali e senza tante storie, il libro di Giorgia Meloni. Anche perché se tutto il libro è come il capitolo pubblicato sul “Messaggero” tipo aperitivo, sono le solite banalità di destra che fanno il paio con le banalità di sinistra. Roba da talk o da social.
Il livello culturale di Giorgia Meloni è probabilmente inferiore a quello di Gianfranco Fini, che seppure a fatica qualche libro, prima di scriverne, lo aveva letto. O che comunque ascoltava… Lo stesso discorso può essere esteso a Gianni Alemanno, che si applicava, talvolta parecchio. E a pochi altri, “curiosi”, della destra postmissina.
Giorgia Meloni è una polemista. Espertissima nel botta e risposta. Tutto qui. Come Presidente del Consiglio, quando insomma si deve decidere, farebbe ridere. Non è visionaria, non è pragmatica, vive di sintesi da un pagina. Che neppure capisce tanto bene. L’ultimo infortunio a proposito del manifesto sulle foibe, che poi non erano foibe, è roba da “Tutti a casa” con Alberto Sordi: “Colonnello,i tedeschi si sono alleati con gli americani…”.
Perciò il suo libro andrebbe letto proprio per comprendere i limiti di un botta e risposta in salsa vittimistica postfascista (non mi riferisco alla foibe vere, ci mancherebbe altro).
Se proprio si vuole parlare di ideologia, Giorgia Meloni non va oltre “Dio, Patria e Famiglia” (lei risponderebbe subito: “E me cojoni…”). Gianfranco Fini, rispetto a “Giorggia” rimane una specie di Benedetto Croce, Gianni Alemanno, un Carlo Marx…
Eppure, buca i teleschermi, macina sondaggi. Come? giocando a rimpiattino con Matteo Salvini. Se il “Capitano” dice A, “Giorggia” risponde B, e così via, per tutto l’alfabeto. Un giorno si alza sovranista, l’altro europeista… Dipende da ciò che ha mangiato Salvini la sera precedente a cena…
E questo è tutto.
Dicevo, se fossi libraio, venderei il suo libro eccetera, eccetera… Anche perché, le scelte come quella per così dire della collega di Tor Bella Monaca vanno oltre le intenzioni. Nel senso che, paradossalmente, finiscono per ottenere l’effetto contrario. Cioè, come sta accadendo, accendono un interesse da talk show intorno a un libro che – attenzione – dirigenti e militanti di Fratelli d’Italia si rifiutano di leggere. Ammissione che però farebbero solo a telecamere spente o se sottoposti alla macchina della verità .
Per quale ragione? Uno, perché fossilizzati su altri testi, più o meno fascisti. Due, perché sanno benissimo che per Giorgia Meloni il nome di Roberto Michels, tra l’altro munito di baffoni, rinvia a una marca di birra, come la Moretti. Tre, perché Fratelli d’Italia, se proprio si vuole parlare di fratelli, è un grumo di “Fratelli Coltelli”, tenuto insieme, per ora, dalla possibilità, purtroppo non remota, di agguantare il potere.
Come dire? Ora appoggiamo “Giorgia”, poi si vedrà. Di qui, “Springtime for Giorgia in Italy”… Tutti ricordano, no? “I was born in Dusseldorf/ And that is why they call me rolf/ Don’t be stupid, be a smarty/ Come and join the nazi party…”.
Si tratta insomma di una pura e semplice operazione politico-editoriale tesa a conquistare gli elettori, magari rubandoli al “Capitano”. Elettori, quindi non quadri e militanti. Il libro è per i fessacchiotti dei non addetti ai lavori. Gente comune che si bea, davanti alla televisione, di quel “botta e risposta” in cui Giorgia Meloni è maestra… Ma un conto è fare battute, un altro governare.
Però tutto questo la famosa gente con la lattina di birra davanti alla tv o alla tastiera del computer non lo sa né lo saprà mai, purtroppo.
Cosa dire? Che la destra si merita un’eroina della battuta come Giorgia Meloni. Come del resto la sinistra, che ormai populisteggia proprio come la destra, si merita la libraia di Tor Bella Monaca, trasformata in guerriera della Nuova Resistenza a libri in faccia.
E così via, di talk in talk oppure di social in social. A tutta birra.
Birra Michels, ovviamente.
Carlo Gambescia