Agamben, Cacciari e Negri, i teorici della guerra civile

A dire la verità non abbiamo mai avuto grande stima intellettuale di Cacciari e Agamben, che, con Toni Negri, possono essere dipinti come gli ultimi dinosauri, comunque voracissimi, della filosofia del conflitto.

Conflitto vissuto, pur tra arabeschi filologici e semantici, come guerra civile, in un mondo globalizzato, quindi all’interno di una stessa popolazione. Una guerra finalizzata però alla pacificazione universale. Come dire? Una guerra civile rivolta alla fine di ogni guerra civile. Quale scopo migliore?

In realtà siamo davanti a una contraddizione in termini, che può trovare la sua provvisoria e pericolosa ricomposizione intellettuale solo in un pensiero utopico, che riporta alla triste tradizione inaugurata da Marx ed Engels.

L’argomentazione di Agamben, Cacciari e Negri (soprattutto i primi due, che da anni civettano con una specie di nichilismo teologizzato), si nutre di Schmitt come di Marx. In Negri invece si privilegia un Marx in abiti spinoziani

In questo modo essi riescono a trasporre il conflitto sociale nell’ambito di un conflitto universale, dialettico, che, come si legge, non potrà non condurre alla liberazione del genere umano.

Come dire? Dall’amico-nemico all’amico universale che finalmente si è liberato del nemico. Detto altrimenti, dal male, attraverso il male, al bene.

La forma mentis è quella della dialettica hegeliana del razionale è reale, che facilita le sintesi. Anche se sconclusionate. Dialettica heideggerizzata – perché sganciata da ogni metafisica tradizionale o meno, che si nutre di correzioni individuali, diremmo caratteriali, di pensiero e di frequentazioni.

Agamben, passò per Pasolini e Foucault, Cacciari, per Tronti e Jünger, Negri attraverso il cattolicesimo di sinistra, Lukács, Spinoza. Il più libertario dei tre è Agamben, il più funzionario Cacciari, il più dottrinario Negri. Ovviamente schematizziamo.

Cacciari e Agamben sono pessimisti, nel senso che credono che il conflitto sia l’anima stessa della vita sociale, e che quindi dopo la liberazione dal capitalismo e dal liberalismo, il conflitto, sebbene metabolizzato, continuerà blandamente a caratterizzare i rapporti tra gli uomini.

Per contro, Negri resta un inguaribile ottimista. Come ogni dottrinario crede veramente nella fine di ogni conflitto e nella nascita di un mondo pacificato. Tutti e tre, i “pensatori”, ritengono però giustificato il ricorso al conflitto politico, intellettuale e sociale per liberarsi da una realtà che destano. Di qui, lo spirito polemico (in senso polemologico) che ne anima l’ attività intellettuale e pubblica.

Di qui, anche, l’uso machiavellico – perché un certo Machiavelli è il terzo “auttore” che li accomuna – dell’ epidemia, come occasione (il mezzo) per rovesciare palate di merda filosofica – del resto non immeritata – sulla campagna social-welfarista per le vaccinazioni. E di riflesso sull’odiato sistema (il fine) (*).

Pertanto nel pensiero di Agamben, Cacciari, Negri, l’epidemia, pardon pandemia, è ciò che per Trotsky, rappresenta il concetto di rivoluzione permanente, concetto che aiuta a vedere in ogni possibile conflitto solo un grano del rosario dell’ implacabile lotta al sistema.

Diciamo che potenzialmente la linea Marx-Engels conduce a Trotsky piuttosto che a Lenin-Stalin. Ovviamente i percorsi intellettuali di Agamben, Cacciari e Negri, sono differenti, anche se un robusto e deterministico operaismo, seppure divergente sugli obiettivi immediati (elaborazione intellettuale, Cacciari, vs lotte sociali Negri), segna la formazione di Cacciari e Negri. Agamben, invece, resta più eclettico, pur muovendosi all’interno di una medesima visione anticapitalista e antiliberale.

Che poi, sul piano personale i tre “pensatori”, teorici di una guerra civile quale catarsi di un nuovo mondo senza più guerre civili, vivano da perfetti borghesi, non è importante, né deve scandalizzare. Sono professori, e condividono un certo status. Come del resto non deve sorprendere l’uso che fanno di concetti che appartengono all’immaginario della borghesia welfarista: libertà, democrazia, uguaglianza, eccetera. Si tratta di umanitarismo mimetico, assumono i colori dell’ambiente in cui vivono.

In fondo, come Wilson, il presidente americano, borghese fino al midollo, che riteneva che la prima guerra mondiale sarebbe stata l’ultima guerra, anche Agamben, Cacciari e Negri credono di porre fine a ogni guerra sociale attraverso la guerra sociale… Si chiama politica delle buone intenzioni. Ottimi principi, che, come per Wilson, non bastarono. Per non parlare dell’utopia comunista…

Si dirà, che non importa, da dove vengono e dove vanno, e che invece quel che conta, in questo momento, è che Agamben, Cacciari e Negri combattono, come spesso si legge, la “dittatura sanitaria”. Quindi vanno condivisi e applauditi.

E sia. Però – è bene ricordarlo – il loro nemico principale resta la società liberale. Società invece distinta dalla contrattata, misurata e consapevole distinzione tra concorrenza e guerra, tra civile competizione e guerra civile, tra liberalismo e rivoluzione. Distinzioni invece ignorate da Agamben, Cacciari e Negri, che, come dicono gli economisti, gettano via, dopo il bagnetto, il bambino con l’acqua sporca…

Società liberale che ovviamente non ha nulla a che vedere con la società welfarista, che non è altro che una forma di socialismo irreale, nel senso di un socialismo che rifiuta di definirsi tale. Ovviamente, solo a parole.

Diciamo che Agamben, Cacciari e Negri sono pericolosi compagni di strada. Parlano di libertà e diritti, ma in modo strumentale.

Ecco perché ogni vero liberale, politicamente parlando, non dovrebbe fidarsi.

Timeo Danaos et dona ferentes…

Carlo Gambescia

(*) Per il pensiero in argomento di Agamben e Cacciari si veda : https://www.iisf.it/index.php/progetti/diario-della-crisi/massimo-cacciari-giorgio-agamben-a-proposito-del-decreto-sul-green-pass.html Invece per farsi un’idea delle riflessioni di Negri in materia: https://www.dinamopress.it/news/post-scriptum-sulla-quarantena/