La scomparsa di Roberto Calasso

Marcello Veneziani questa mattina pubblica su “La Verità” un necrologio, a dir poco acido, dedicato a Roberto Calasso, fondatore della casa editrice Adelphi, morto il 28 luglio a ottant’anni.

Per quel che sappiamo, Veneziani, a suo tempo, tentò di farsi pubblicare un libro da Adelphi (forse però più di una volta…). Ma il risultato fu una porta sbattuta in faccia. Pertanto, la chiave del suo coccodrillo è quella della volpe e l’uva di esopiana memoria.

Del resto, Roberto Calasso era un personaggio unico: disse di no persino ai libri di Scalfari, al tempo ancora padrone assoluto di “Repubblica”, nelle cui pagine i libri di Adelphi, erano recensiti un giorno sì e l’altro pure.

Calasso non amava i giornalisti, odiava la categoria sociale degli improvvisatori. La sua visione delle cultura era realmente aristocratica, alta, seria: certe cose sono per pochi e possono capirle solo pochi.

Sicché, il catalogo Adelphi, anno dopo anno, si riempì di autori, diciamo antipatici al mainstream progressista, appartenenti a un pensiero critico verso la modernità.

Un catalogo poderoso aperto agli scrittori senza bandiera, ai fenomenologi del rito, ai maestri del sacro, agli scontenti della razionalità e dell’economicismo. Requisito unico, ripetiamo: non improvvisare.

Negli anni Sessanta, in piena ripresa del neocapitalismo, secondo la sciatta denominazione dell’operaista Raniero Panzieri, Adelphi si distinse per la rifondazione filosofico-editoriale di una specie di cultura delle origini, metastorica.

Una cultura in cerca di costanti originarie, una sorta di grado zero della psiche sociale e umana, un basso profondo sempre pronto a riappropriarsi di ciò che è suo, come i bisogni atavici di vivere e morire in un mondo segnato ab aeterno dal sacro ma non dal trascendente, dall’invisibile ma non dal tenebroso, dal complesso ma non dall’incomprensibile.

Non si capisce bene perché, forse per la crisi delle ideologie, ma verso la fine degli anni Settanta, alla liquefazione del marxismo rivoluzionario e alla socialdemocratizzazione della sinistra, corrispose l’ascesa pubblica di Calasso e della sua casa editrice.

Adelphi, come immagine, da club mediterranée per pochi eletti, si trasformò nella chiassosa Rimini delle statuette del Cattivo Demiurgo fabbricate a San Marino.

In realtà, la qualità editoriale restava quella di sempre, eccellente. Ma i libri di Adelphi finivano nelle mani di lettori che, senza leggerli, li esibivano come capi di abbigliamento firmati. Adelphi come fenomeno se non di massa, sicuramente di tendenza. E negli ambienti che contavano e contano tuttora.

Calasso va invece ricordato come Buon Demiurgo, capace però di fare buoni affari, come i diritti per le opere di Simenon, e rispettiva bella fetta di mercato. Oppure di strappare a Laterza, le opere di Croce, liberale triste. Da accostare a un altro liberale malinconico, come Isaiah Berlin, preziosa perla, quasi da sempre del catalogo Adelphi.

Calasso, allievo di Mario Praz, altro palombaro della modernità, in soprabito, bastone e boina, ha unito il gusto per la ricerca culturale del pezzo raro con l’attenta gestione economica della casa editrice.

Se Mario Praz, collezionista patologico, si rovinò la vista pur di accumulare non sempre tesori, Calasso, da solido figlio di professori e intellettuali borghesi, si è fatto ricco. Al punto di poter dire di no a Scalfari e altri imprenditori mediatici, anche stranieri, vogliosi di fare l’affare e mettersi un fiore all’occhiello, anzi il pittogramma cinese della Luna Nuova: il famoso logo adelphiano.

Tutto questo una destra stracciona, arruffona e complottista non lo ha mai digerito e perdonato. Se l’invidia fosse febbre…

Veneziani, come detto, accusa Calasso di aver pubblicato libri già usciti presso editori di destra, qualificandoli come prime edizioni. Diciamo che Calasso, a suo tempo, è stato fin troppo gentile: ha peccato di omissione. Col pensiero. Avrebbe potuto divertirsi elencando strafalcioni…

Destra senza vergogna: certo, il Nietzsche di Colli e Montinari è lo stesso di quello pubblicato da qualche editrice dei Figli della Lupa… Idem, per altri autori…

Quanto al profilo complottista di Adelphi, inventato da Blondet, è roba da ospedale psichiatrico. Calasso, che sorrideva ma non rideva con facilità, ne rise. Blondet riuscì a strappargli una bella risata. Diciamo che fece una buona azione.

Concludendo, fare e scrivere buoni libri (perché Calasso ne scrisse non pochi, ma questa è un’altra storia…) e poi venderli, quindi con un occhio agli affari senza tradire se stessi, non è cosa facile. E Calasso c’è riuscito.

Carlo Gambescia