Sul sito italiano dell’Associazione Sclerosi Multipla sono spiegate in modo molto chiaro le procedure che consentono a un farmaco ( e per estensione a un vaccino), di passare dalla sperimentazione all’ uso generale.
Praticamente, il tutto può durare un periodo di tempo imprecisato, almeno 15 anni tra sperimentazione e “terapeutizzazione” (*). Un ciclo di sicuro non breve, anzi brevissimo, come invece è accaduto per il vaccino antiCovid, varato in meno di sei mesi. Sembra inoltre che sui i vaccini i protocolli sperimentali siano ancora più rigidi.
Di regola, in Europa e Italia, sono previste sei fasi, tre sperimentali, tre di approvazione, passando, queste ultime, per l’Ema (European Medicines Agency), l’AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco) e l’iscrizione finale al prontuario farmaceutico delle ASL, in Italia di pertinenza regionale, che prevede, come si legge, un locale e “specifico piano di farmacovigilanza” (**).
Due sono gli aspetti che meritano una riflessione.
Il primo rinvia alla natura burocratica dell’intera procedura, Un iter elefantiaco che introduce pesanti vicoli al mercato dei farmaci e che in qualche misura lo caratterizza, non facilitando i tempi di immissione del prodotto sul mercato, aumentando i costi economici e amministrativi, già ingenti per la sperimentazione e produzione. Costi che sono scaricati sui prezzi e quindi sugli utilizzatori finali, i consumatori.
Fermo restando che nei sistemi di welfare i costi ricadono sulle strutture sanitarie pubbliche, che a loro volta li scaricano sulla fiscalità generale, e quindi su tutti i cittadini, che finiscono per pagare due volte un farmaco o un vaccino: come “assistiti” e come contribuenti. Però, come proclamano i governi socialdemocratici e populisti , si tratterebbe di una giusta causa, perché “la salute viene prima di tutto”. Perfetto.
Il secondo motivo di riflessione è rappresentato dal varo di un vaccino a tempo di record, come, per l’appunto, in occasione dell’epidemia, pardon pandemia. Anche qui, gli stessi governi socialdemocratici e populisti hanno subito evocato,con la mano sul cuore, “il principio della salute prima di tutto”. Perfetto.
Ora però, delle due l’una. O il vaccino è sicuro, quindi la trafila sperimentale e burocratica è inutile, perché ciò che di regola richiede quindici anni si può fare in sei mesi. Quindi il sacrificio “burocratico” del consumatore è inutile. O il vaccino non è sicuro, perché si sono fatte le cose in fretta, allora il sacrificio “burocratico” del consumatore è utile.
A dire il vero il dilemma, anzi la questione, è di altro genere. Perché comunque la si metta il problema dei vincoli burocratici al mercato, implica inevitabilmente, durante le emergenze (presunte o reali, ma questa è un’altra storia…), la loro violazione. E quest’ultima, implica l’introduzione di altri vincoli che giustifichino in futuro la violazione passata. Un circuito statalista assolutamente infernale.
Il processo diabolico è quello “dalla legge alla legge”: una specie di perversione burocratica dello stato di diritto. O sua “motorizzazione”. Si procede a tutta velocità di deroga in deroga per “normalizzazioni” successive, spesso tacite, che poggiano su questo o quel cavillo. Deroghe che moltiplicano e complicano il quadro normativo, amplificando il conseguente potere discrezionale delle burocrazie e dei tecnocrati della sanità, in un quadro però di istituzionalizzazione della scienza medica, che si nutre ( e nutre) di problemi pratici, organizzativi, dalla pianificazione alla distribuzione: questioni che non hanno più nulla di teorico.
Inutile qui insistere sull’ inarrestabile (e conseguente) riproduzione dei problemi interpretativi delle norme. La cui temporanea e ricorrente soluzione ormai è materia di lauti guadagni per legioni di avvocati. Spese legali che vanno ad appesantire i già elevati costi del farmaco che il consumatore deve subire. Infine, ai costi legali e burocratici va aggiunto il costo, altrettanto inevitabile, della corruzione-concussione, tipico dell’interazione tra pubblico-privato, la classica area grigia segnata dai ritmi, spesso elevati, dei patteggiamenti illeciti per favorire l’iter di approvazione, perché il tempo per un imprenditore (e di riflesso per il consumatore) è giustamente denaro. Un costo, ovviamente, poi scaricato sui consumatori e sui sistemi sanitari pubblici.
Come si può capire, quanto più ci si allontana dall’economia di mercato, tanto più aumentano i costi per i consumatori anche di farmaci e vaccini. Come del resto, il sistema delle deroghe normalizzate rende vano il pesante e costoso muro burocratico, eretto a difesa della salute, magnificato dai difensori dello statalismo.
A farne le spese è l’ utilizzatore finale del vaccino: un consumatore non tutelato sul piano della salute né su quello economico. Perché, come anticipato, dal momento che nessun pasto è gratis, il prezzo politico di un vaccino, tra l’altro non sicuro, perché sperimentato e registrato a tempo di record, non può non moltiplicare la spesa pubblica, e ricadere così sulle spalle dei cittadini che pagheranno, ripetiamo, il vaccino due volte, come “assistiti” e come contribuenti.
L’intero sistema del welfare del farmaco va ripensato. E in chiave liberale. E per oggi è tutto. Una pena al giorno.
Carlo Gambescia
(*) Qui alcune informazioni sulle tempistica: https://www.day-one.biz/tempi-sviluppo-farmaco/
(**) Qui tutti i particolari: https://www.aism.it/terapie_iter