Questione metodologiche. L’ACLED e i conflitti nel mondo

Non vorremmo essere fraintesi. Nutriamo il massimo rispetto per il lavoro scientifico dell’ACLED ( Armed Conflict Location and Event Data Project). Un’ organizzazione non governativa, anglo-americana, specializzata nella raccolta di riferimenti, analisi e posizionamento dei conflitti nel mondo. Addirittura in tempo reale (*) .

Fondato e diretto nel 2005 da una geografa, specialista in conflitti, Clionadh Raleigh, docente presso l’Università del Sussex, formatasi presso il Peace Research Institute Oslo (PRIO). Il Think Tank ha sede negli Stati Uniti e ogni anno dal 2010 pubblica un Indice o lista dei conflitti nel mondo.

La “Wachlist” di quest’anno (**) , oltre a segnalare un aumento dei conflitti, rispetto all’anno passato del 12 per cento, assegna il primo posto al Myanmar (già Birmania), il secondo alla Siria, il terzo alla Palestina. L’Ucraina è al settimo posto.

E qui, dispiace dirlo, i conti non tornano. Perché il conflitto in Ucraina rimanda a un parametro analitico sottovalutato dall’ACLED, anzi, a dire il vero, neppure preso in considerazione (***).

Quale? Quello delle conseguenze politiche. Parametro che rimanda non all’attuale diffusione geografica ( “geographic diffusion”) di un conflitto, ma a quella potenziale, altrettanto importante.

Ci si può rispondere che la valutazione dell’estensione potenziale di un conflitto è di tipo politico non scientifico. E che una analisi scientifica deve basarsi sui fatti, quindi sulla situazione attuale, anche come dimensioni del conflitto, senza lanciarsi in previsioni basate su pregiudizi politici, come ad esempio quello di attribuire alla Russia una volontà imperiale. Quindi, per dirla tecnicamente, una volontà espansiva.

In realtà una cosa è la guerra interetnica in Birmania, un’altra nel cuore dell’Europa.

Non è una questione di eurocentrismo, ma di confronto tra grandi potenze. Perché, da una parte, dietro l’Europa si scorgono Nato e Stati Uniti, mentre dall’altra si affaccia la Russia post Sovietica, comunque armatissima e ancora potente, soprattutto sul piano delle armi non convenzionali. Insomma non si tratta di micro-conflitti localizzati in Birmania.

Perché? Qual è la causa di questo errore metodologico? Il pacifismo.

Quando si parte da una posizione pacifista, come quella della professoressa Raleigh, formatasi per l’appunto al PRIO, fondato da Johan Galtung, scienziato sociale norvegese, culturalmente devoto al pacifismo gandhiano, tutti i conflitti sono ugualmente cattivi.

Insomma, l’uno vale l’altro. Esiste una autentica incapacità di “pensare la guerra”. Si pensa solo alla pace. Sicché lo scopo non è più quello del “si vis pacem, para bellum”, ma del “para pacem”. Un’utopia. Per giunta pericolosa.

Per carità, tutto molto nobile, tuttavia la parificazione dei conflitti in Ucraina e Myanmar, sottovaluta l’espansionismo russo, spianando la strada a un’altra guerra mondiale. Altro che il conflitto, sia detto con tutto il rispetto per le non poche vittime, tra “Stato Karen” (o Kajin) e Stato birmano (o Myanmar), solo per citarne uno.

Un equilibrio metodologico, a proposito delle potenzialità dei conflitti, che il Think Tank anglo-americano sembra invece recuperare, anche giustamente (perché Trump è “affetto” da sindrome cesarista), a proposito degli Stati Uniti. Che sono “indicizzati” al decimo posto a causa, per l’appunto, del crescente rischio di conflitti politici, sempre più violenti, legati all’ascesa elettorale di Donald Trump e al ribellismo politico ( a lui collegato) dell’Alt-Right (Destra Alternativa, nel senso del classico radicalismo di destra antisistema).

Qui, però, sorge spontanea una domanda: perché quando c’è di mezzo l’espansionismo russo si privilegia il Myanmar, mentre quando è il turno di Trump, altrettanto aggressivo si privilegia Trump?

La risposta ai lettori.

Carlo Gambescia

(* )Qui: https://acleddata.com/. Una piccola nota personale. Il sito Acled negli ultimi tre mesi ha ricevuto 250 mila visualizzazioni (https://www.similarweb.com/it/website/acleddata.com/#ranking). Il nostro blog, altrettanto specialistico, senza mezzi, se non quello dell’ attitudine allo studio del suo “amministratore”, nello stesso periodo ne ha ricevute circa 35 mila ( dati Google a disposizione su richiesta privata).

(**) Qui per il rapporto 2023 (gennaio 2024): https://acleddata.com/conflict-index/.

(***) Qui per la metodologia: “The ACLED Conflict Index assesses every country and territory in the world according to four indicators – deadliness, danger to civilians, geographic diffusion, and armed group fragmentation – based on analysis of political violence event data collected for the past year. The top 50 ranked countries and territories are experiencing extreme, high, or turbulent levels of conflict.” (https://acleddata.com/conflict-index/ )