Letta, Calenda e Machiavelli

Ieri abbiamo affrontato la questione della necessità di un accordo tra Letta e Calenda per non consentire alla destra almeno all’uninominale di stravincere (*).

Oggi invece Calenda viene insultato dalla stampa di sinistra, diremmo ingiustamente, perché rifiuta di riconoscersi nell’estrema sinistra, né nei transfughi pentastellati e neppure, sebbene sembra voglia correre da solo, nel Movimento 5 Stelle.

In realtà sono in gioco due concezioni politiche: quella di una sinistra riformista e quella di una sinistra radicale.

Il riformista, nel caso di Calenda, crede nell’idea di libertà, quindi nelle libertà di mercato, nelle libertà civili, nelle libertà politiche. Sono libertà che il riformista reputa insopprimibili. Libertà che vengono prima dell’uguaglianza. Infatti il riformista non disdegna il ruolo sociale del merito. Di qui certa diffidenza verso il ruolo dello stato come redistributore di uguaglianza non solo formale.

Il radicale, non tanto Letta, quanto i suoi compagni di cordata all’estrema sinistra, condizionano invece le libertà di cui sopra al concetto di uguaglianza, che viene sempre prima, si osserva, di quello di libertà. Di qui, l’importanza livellatrice attribuita allo stato. La sinistra radicale è una strenua sostenitrice della mano pubblica.

Per contro, soprattutto a destra, si ritiene che in realtà i riformisti e i radicali condividano lo stesso binomio (libertà e uguaglianza). E che quindi, se ci si passa l’espressione, “ammazza, ammazza sia tutta un razza”. Il che può anche essere vero. Però la destra, questa destra, non è né per l’uguaglianza né per la libertà (si chieda a migranti e gruppi Lgbt), e al tempo stesso, sembra essere più statalista della sinistra radicale.

Ora, un accordo almeno sui collegi uninominali, potrebbe far entrare in parlamento una pattuglia di riformisti di sinistra. Certo, i riformisti a loro volta dovrebbero cedere nei riguardi dei radicali, votandoli nei collegi a rischio. Per un riformista il sacrificio sarebbe grande.

Purtroppo crediamo che la responsabilità di un possibile fallimento delle trattative dipenda dalla diversa concezione del potere. Letta vuole vincere a ogni costo imbarcando tutti, pur di afferrare il potere. Calenda invece, guarda oltre queste elezioni. Lavora alla nascita di una sinistra riformista. Quindi per Calenda il potere non è mai fine a se stesso.

Il che in un uomo politico è lodevole. Se si volesse scomodare un’ interpretazione del pensiero di Machiavelli, si potrebbe dire che se per Letta il potere giustifica i mezzi, per Calenda i mezzi giustificano il potere.

Perciò al posto di Letta, almeno un accordo sui collegi uninominali, senza chiedere nulla in cambio a Calenda, cioè di votare a sua volta per i candidati radicali, tenteremmo di portarlo a casa. Perché solo così sarà possibile limitare, rosicchiando qualche scranno, una vittoria della destra che si preannuncia, stando ai sondaggi, eclatante.

Anche perché, al momento, il vero realismo politico, non è quello di vincere a ogni costo, cosa impossibile, ma di prepararsi a opporre nel prossimo parlamento a una destra statalista e autoritaria le idee di una sinistra liberale e tollerante. Insomma, di non opporre allo statalismo di destra lo statalismo di sinistra.

Perciò Calenda, può rappresentare l’occasione giusta per costruire una sinistra riformista che a differenza della sinistra radicale, sia capace di rifiutare il devastante approccio statalista fondato su mix spesa pubblica-tasse. Essere riformisti a sinistra significa rifiutare la pericolosa idea che lo stato sappia sempre ciò che è bene per il cittadino. Il vero riformista non può che essere un vero liberale. E perciò deve lasciare che i cittadini decidano liberamente ciò che è bene per se stessi.

In Italia una sinistra di questo tipo sarebbe addirittura rivoluzionaria. Ci si consenta però, pur stimando Calenda, di manifestare – onestamente – un certo pessimismo.

Ci si accuserà, infine, di non aver parlato di programmi concreti. Cosa deve fare in concreto, si chiederà il lettore, una sinistra riformista?

Il vero punto non è questo. E allora qual è? Ritenere che lo stato non sia la soluzione ma il problema. Il resto verrà da sé.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/sinistra-attenzione-alluninominale/ .