Campioni? Sì, dei campionati mondiali della paura

L’Italia ha vinto gli europei di calcio. Complimenti. Oggi tutti gonfiano il petto, stupidamente orgogliosi di un partita tra l’altro giocata maluccio e vinta da chi ha sbagliato meno calci di rigore.

Il punto però non è questo. In realtà, per estendere la metafora calcistica, la vera partita si gioca altrove.

Qualche esempio.

Ieri, un influente analista, sul “Messaggero”, nella sua abituale rubrica di geopolitica, consigliava al governo italiano – dopo le minacce fondamentaliste al nostro Ministro degli Esteri – di non mettere più il piede fuori di casa, perché sembra che il terrorismo islamista risparmi i paesi pacifisti.

Sempre ieri Mattarella era a Londra a ufficializzare con la sua presenza la vittoria azzurra. Però nei giorni precedenti il Presidente si era ben guardato dall’accogliere di persona all’aeroporto i soldati italiani rientrati in Italia, e definitivamente, dall’Afghanistan. Mai offendere talebani, i prossimi padroni intransigenti di quella terra disgraziata.

Infine in Libia, dove divampa la guerra civile, l’Italia da tempo ha rinunciato a qualsiasi forma di intervento. In pratica, accettiamo di contare meno di zero. Altro che impegni verso la Libia… E per quale ragione? Perché il bassissimo profilo italiano nei riguardi della nostra ex colonia viene giustificato da tutti i governi ( di destra e sinistra) come una saggia scelta strategica per evitare attentati islamisti in Italia.

Se la politica estera è il punto più alto della politica, il Belpaese, come si diceva un tempo, vola rasoterra. Diciamo che perde 2 a 0 a tavolino. Neppure scende in campo.

Si faccia attenzione, in quanto scriviamo non c’è alcuna nostalgia per l’avventurismo fascista. Ci mancherebbe altro. Ma sdegno verso governi (ripetiamo, di destra come di sinistra) che si preoccupano solo di consigliare al terrorista islamico cosa indossare quando la sera rinfresca l’aria…

I campioni siamo noi? Sì, ma di che cosa? Degli Europei di calcio? No, dei campionati mondiali della paura.

Carlo Gambescia