Silvano Panunzio, Pellegrino dell’Essere

Il libro appena uscito di Aldo La Fata (Silvano Panunzio, Vita e pensiero, Solfanelli, pp. 208, euro 12,00) colma un vuoto e al tempo stesso  rappresenta una frustata all’inerzia di un ambiente culturale, quello del  tradizionalismo,  segnato da forti quanto inutili rivalità di parole, come dall’inconsistenza, tranne alcune eccezioni, delle iniziative editoriali, quindi di atti. Manca tuttora, per essere espliciti, un grande  Editore Laterza di destra. E sia detto con tutto il rispetto per Solfanelli, editore capace, serio e preparato.,

Un libro come quello di La Fata, potrebbe essere come si usa fare per la cultura illuminista, il primo volume di una specifica collana di guide al pensiero e ai pensatori  tradizionalisti (in senso lato ovviamente).   L’ultimo che a destra provò ad attraversare questo deserto culturale fu Giovanni Volpe, i cui libri, in pratica furono  ritirati dal mercato dopo la morte improvvisa. E tra i quali,  uno, importantissimo di Panunzio (Contemplazione e Simbolo), con dolore dello stesso autore, fu per anni  oggetto di licitazioni private a prezzi d’affezione. Come si legge a pagina 154 (nota 211).

Del resto, come riporta Aldo La Fata, lo stesso Panunzio, sebbene in  modo eroico, da generoso cavaliere metafisico cristiano,  non si faceva illusioni sulle capacità recettive delle destra “tradizionalista, che pur provò “ad evangelizzare”. Scrive La Fata: “Panunzio  considerava il ‘tradizionalismo’  alla stregua di uno ‘schema concettuale’ con i suoi pregi e i suoi difetti. Uno dei sui difetti più gravi, osservava, ‘è quello di rendere le persone che vi aderiscono più fanatiche che riflessive’ ” (p. 132).

Ma veniamo al suo ottimo libro  che si segnala anche per lo stile cristallino che ne rende piacevole la lettura, nonché – concettualmente parlando – per il senso della misura, virtù, che deriva a La Fata  – crediamo – dalla  pluridecennale stretta frequentazione del Maestro. Anche mentore – e si vede – di squisiti sentimenti e sensibilità di giudizi mai scevri però  da ironia e  autoironia: parleremmo, anche per Panunzio, come per Giano, Accame  per usare uno schema concettuale, di retorica della transigenza.

Il libro è diviso in  due parti: la prima dedicata alla vita di Panunzio, la seconda  alle “iniziative,  riviste, maestri,  pensiero, libri”. Imponente la bibliografia finale, anche  ragionata: pagine dense di titoli in cui  però salta subito all’occhio  la sproporzione tra la quantità di studi pubblicati da Panunzio e il ridotto interesse critico nei suoi riguardi, non solo come quasi scontato del mondo laico (“quasi” perché  tale aspetto andrebbe approfondito, perché forse foriero di sorprese, anche alla luce della pubblicazione di un epistolario scelto annunciata da La Fata), ma dell’universo tredizionalista, fin troppo variegato, nonché rancoroso e vendicativo.

Utilissimo  infine  l’apparato iconografico che  ricorda, come metodo,  quello di una celebre storia comparata del diritto dello studioso americano  John  Henry Wigmore, anno di grazia 1928.  Una bellissima opera in tre volumi in cui alla spiegazione delle varie dottrine e istituzioni si affiancava il gusto di illustrarle, in senso letterale, con  immagini  di giuristi, tribunali, codici, modalità di esecuzione delle sentenze. Insomma, una fisiognomica di uomini e di cose  che Aldo La Fata, come Wigmore, utilizza per scalare il cuore interiore ma anche metapolitico ed escatologico delle relazioni intellettuali che nutrirono il ricco e complesso viluppo del pensiero panunziano. Un pensiero che, come si evince dall’attenta  ricostruzione di La Fata,  si può ricondurre, sintetizzando, a quattro costanti.

Una vita difficile: si pensi alla  perdita di un figlio ancora piccolo, Pietro Romano, mortogli tra le braccia;  alla lunga malattia della consorte, Matilde, amorevolmente assistita fin all’ultimo; ma anche al destino della sorella Giuseppina e a quello dolente se non doloroso  di un altro figlio, Giovanni.  Per non parlare infine della guerra fascista, del crollo degli ideali e del complicato inserimento professionale e delle disillusioni accademiche.

La compensazione della vita difficile attraverso lo studio intenso. Diremmo metafisico, in senso letterale: oltre la sua stessa resistenza fisica. Uomo dalle letture sterminate ma selettive. Si leggano le riflessioni di La Fata sull’ampiezza delle fonti alle quali attinse,  a cominciare dalla laurea in scienze politiche, facoltà che un tempo  apriva, e concretamente, allo studio dell’uomo in tutte le sue forme concrete (diritto, economia, storia, politica, sociologia). A tale proposito si vedano  a pagina 34 i voti riportati da Panunzio e tutta  l’ampiezza del ricco approccio disciplinare che continuò a pulsare nelle sue vene per tutta vita. Grazie,sia detto per inciso, a un’ ordine degli studi universitari in scienze politiche rimasto tale fino alle nefaste riforme del  1968 e successive.

La straordinaria  quantità  di letture   rendeva Panunzio  capace  al tempo stesso di giudizi acuminati ma anche di illuminata e profonda  pietas storicistica. Uno per tutti: “Panikkar è un grande spirito e un estroso giocoliere, ma scherzando qui, scherzando là, ha perduto la fede. [Tuttavia] è allineato tra i grandi teologici indipendenti del nostro  tempo che  contestano il modulo provinciale, piccolo- europeo del  Cristianesimo anticonciliare, di fronte all’universalità del Vangelo di Cristo e alla cosmicità dell’Oriente” (p. 74, nota 84).

L’ Ecumenismo, che pur non essendo, come osserva acutamente La Fata, di stampo sincretico, apre però – cosa non da poco per la retriva destra cattolica –  a un relativismo togato, metafisico, venato di escatologismo e tolleranza (nel senso che c’è un fine comune):  che  quindi  evita di  prolungarsi in quella retorica dell’intransigenza del tradizionalismo standardizzato dei clericali Guardiani della Fede.

Infine, la prospettiva metapolitica.  La scoperta  e rivalutazione, come ottimamente scrive La Fata, di “una metafisica applicata o meglio un’estensione dei principi metafisici e cosmologici all’ambito del ‘governo del mondo’ […]. La metapolitica di Silvano  Panunzio ci ricorda infatti che l’universo non è popolato da creature distinte, ma da esseri indissolubilmente legati l’uno all’altro, in seno ad una Totalità a cui vertici sta Dio. È qui che per Panunzio entra in gioco il concetto di ‘escatologia civile’ che collega il tema ‘politico’ dell’impegno umano, sociale e civile da lui ritenuto indispensabile con quello ‘metapolitico’ dei  ‘fini ultimi’ riguardanti le sorte dell’intera umanità. Solo  in questo senso  – conclude La Fata –  la ‘metapolitica’ panunziana può incontrare nella propria orbita le scienze sociali e politiche, comprendendole nella sua visione complessiva senza tuttavia lasciarsene mai assimilare” (p.141).

Siamo dinanzi alI’ immagine di un disegno finale (non finalistico)  che riteniamo possa appagare anche lo studioso laico, attento a nessi, corrispondenze, simpatie e affinità, agli stessi fattori privilegiati in chiave analogica da Panunzio,  fattori  anche di natura non causale ( per inciso,  su questi fenomeni   Julien Freund, credente e sociologo al tempo stesso  ha scritto  pagine seminali).

Fattori sociali “acausalistici” (per così dire) privilegiati nei termini di una escatologia sociologica, che però, permettono a chi non abbia –  o non desideri  possedere –  l’apertura spirituale panunziana, o  meglio ancora metafisica (ma si dica pure il “terzo occhio”),   di fermarsi a una metapolitica come studio delle regolarità e costanti dell’ escatologia civile. Che si badi non è scelta  cripto-metapolitca, ma prolungamento decisionale di una sofferta condizione laica di umilità. Che secondo alcuni può essere il primo gradino, forse inconsapevole, per inerpicarsi sui sentieri interrotti della fede.

Comunque sia,  in questo non facile percorso di recupero, la  lettura dell’ottimo libro di La Fata, può rappresentate un buon viatico. Oltre che, come detto, sul piano critico una eccellente fonte di documentazione su Silvano Panunzio,   metafisico  Pellegrino dell’Essere, come Ernesto  Buonaiuti, su un altro versante, lo fu di Roma.    

Carlo Gambescia.