Sullo spirito borghese…

Che cos’è lo spirito borghese? È veramente un concetto unico e unificante? Capace di rinviare a un costume storicamente immutabile frutto di una precisa essenza sociologica? Di qualcosa che non varia e costituisce la qualità essenziale di un modo di essere?

A questo pensavamo leggendo il notevole articolo dell’amico Bernard Dumont (“L’esprit bourgeois à l’état pur”), apparso in apertura, sull’ultimo numero di “Catholica” (n.152, pp. 4-15), di cui egli è direttore. Mentre chi scrive è membro del comitato scientifico. Ed è onoratissimo di esserlo ormai da molti anni.

Per alcuni autori come Berlin il concetto affonda le radici intellettuali nella prima metà dell’Ottocento, facendosi largo tra le tesi dei profeti armati della rivoluzione (Marx) come della controrivoluzione ( Joseph de Maistre, Bonald, Donoso). Tutti poco benevoli verso il moderno universo delle passioni e degli interessi borghesi, frutto, come si evince dalle loro pagine, di calcolo e avidità.

Dopo di che lo spirito borghese è largamente analizzato, addirittura vivisezionato, spesso senza pietà né misericordia, nel secolo successivo, il Novecento. Si pensi a sociologi, sfiorati da Nietzsche, del calibro di Max Weber, Sombart, Scheler, nomi che ricorrono anche nell’articolo di Dumont.

Profeti disarmati che cercano di ricostruire non tanto il concetto di società borghese quanto di spirito borghese. Diciamo che si occupano di genealogie intellettuali: di chi viene da chi… L’essenza della spirito borghese è ricondotta a una volontà di trasformazione del mondo, di volontà di successo, fame di denaro, rottura dell’antico ordine sociale. Spirito borghese come inarrestabile nuovismo.

In realtà, il vero problema cognitivo non è tanto di storia delle idee o di determinazione di un idealtipo valido per ogni tempo e luogo, quanto di analisi del funzionamento concreto della società borghese, quindi dell’esistenza storica della società borghese. Diciamo questo perché l’amico Dumont sembra dare eccessiva rilevanza alla storia della idee e alla tipizzazione concettuale che rinvia – nel suo insieme – ai profeti armati e disarmati.

Mai dimenticare invece due punti fondamentali, sociologici.

Il primo, è che nessuno, storicamente parlando, ha costruito a tavolino la società borghese. Né, a maggior ragione, i profeti armati e disarmati ex post. In realtà, gli uomini hanno perseguito liberamente i propri interessi e valori, senza sapere quel che stavano edificando.

Si procedeva alla cieca, per prove ed errori. Quindi il concetto di spirito borghese, addirittura “allo stato puro”, è qualcosa che cronologicamente viene dopo, qualcosa di teorico, di costruito ex post, non ex ante. Difficile da rinvenire e verificare nei fatti storici se non sulle basi di un filosofia della storia, ripetiamo ex post. Come ben provano le intuizioni filosofiche, pur interessanti, racchiuse nelle opere di Weber, Sombart, Scheler.

Il secondo punto, è che di società borghese, come di spirito borghese in azione, si può parlare in termini storici e sociologici solo per l’Ottocento. In particolare, si pensi all’esperimento guizotiano in Francia, come a quello manchesteriano in Gran Bretagna: un mix di regime politico censitario e libertà economica. Il migliore dei mondi possibili, almeno per quei tempi. Mondi possibili ma reali. Non fughe verso il futuro o verso il passato secondo le proprie simpatie filosofiche.

Infatti, quando si condanna in blocco la modernità, oppure al contrario la si elogia come tale, il rischio cognitivo è quello di aprirsi il cammino verso la socio-astrologia storica. Che poi essa sia tipo di progressista o reazionario, nulla toglie nulla aggiunge al mito incapacitante del mondo perfetto con Roff Garden & Bar sul paradiso perduto, in terra o in cielo.

Per contro, nel Novecento nasce, sulle ceneri fumanti di due guerre disastrose, la società di massa, che è tutto, eccetto che borghese e liberale secondo il modello reale, guizotiano-manchesteriano, dell’Ottocento.
Il welfarismo novecentesco è il nemico giurato della libertà individuale come dello spirito di intrapresa economica. Ma anche del censo economico e intellettuale. Non si evoca infatti, l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi al dio mortale della sanità pubblica?

Ed è su questo tipo di società, “di massa”, che viene erroneamente definita borghese e liberale, “addirittura allo stato puro”, che cadono gli strali dei critici novecenteschi dello spirito borghese.

In questo modo però si confonde lo spirito borghese e liberale con lo spirito welfarista e del trade-off (dello scambio o patto corporativo) tra assistenzialismo al cittadino e protezione dei grandi monopoli semiprivati e semipubblici rivolti a fornire pane e giochi all’uomo-massa. Come in guerra lo riforniscono di armi, con il placet dello stato: dal Warfare al Welfare e infine, come sta accadendo, al Virusfare, il passo è breve (*).

È qui che l’individuo, addirittura compiacente, si fa rotismo intercambiabile di una macchina, che asserendo falsamente di perseguire il bene del singolo, invece lo cannibalizza. Di puro, c’è solo un feroce statalismo all’ennesima potenza.

Cosa vogliamo dire? Che l’amico Dumont, articola il suo ragionamento intorno due premesse non molto salde.

La prima, quando ritiene che dietro la società liberale e borghese vi sia un progetto costruttivista. Che come abbiamo detto non c’è. O se c’è rinvia alla costruzione novecentesca del welfare state, che nasce dalle contaminazioni totalitarie, scatenate da due guerre distruttive.

La seconda, quando, a differenza di Del Noce, confonde la società borghese dell’Ottocento, rigorosamente elitaria e in qualche misura cristiana (“un laicismo che voleva salvare il cristianesimo”, come rileva Del Noce), con la società di massa del Novecento, indifferente a dio e ai nemici di dio (**).

L’amico Dumont, probabilmente senza neppure sospettarlo, non esce dal terreno della storia delle idee, nel quale si muove molto bene. Oppure delle tipizzazioni di filosofia della storia. Tuttavia, suo malgrado, finisce per scambiare storia delle idee e purismo concettualistico, che marcia sulle teste di pochi, con la storia sociale, storia che invece si regge sulle gambe di molti.

Le critiche di Del Noce, valorizzate da Dumont, sono in realtà rivolte alla società di massa. Sicché, se proprio si deve parlare di eterogenesi dei fini, l’eterogenesi rinvia a una modernità costruttivista, che però – ripetiamo – ha le sue radici concrete, reali, storiche e sociali in un Novecento, sociologicamente marchiato dalla nascita della società massa, con i suoi miti scaturiti dal perfettismo sociale. Mitologie che hanno invece prodotto lo stato padrone, nelle sue varie forme: comunista, fascista, socialdemocratica, liberal-socialista, e ora come sembra, ecologista e medicale.

Tutti aspetti che non hanno nulla in comune con lo spirito borghese e liberale di un Ottocento portato invece a limitare i poteri dello stato, privilegiare l’onore professionale, il senso del decoro, la famiglia, e per alcuni aspetti una moderata religione dei padri, nel nome di certo sano individualismo, sobrio nei consumi, poi perdutosi nella società di massa. Si è così ceduto il passo all’individualismo protetto da pane e giochi, corrotto tessuto omologante della società welfarista.

Certo, lo spirito borghese e liberale dell’Ottocento rinviava a un rigido sistema censitario. La cosa è innegabile. Come del resto prova l’esperimento Guizot e la formazione delle “due nazioni” in Gran Bretagna. Però furono anni, politicamente parlando, di sviluppo, libertà e contrasti. Certo, solo per una élite di uomini. Ma, comunque sia, nulla a che vedere con il consociativismo politico ed economico, spoliticizzante, della società di massa novecentesca.

Il nemico perciò, se proprio si vuole utilizzare questo termine, è rappresentato dalla società di massa, dal welfarismo, dallo stato spettacolo e da ultimo dallo “stato sanitario”, prepotente e disumanizzante, all’opera durante l’epidemia Covid. E che purtroppo ancora non ha mollato la presa sui cittadini terrorizzati e in mascherina… Come dicevamo, il passo dal Welfare a Virusfare è breve.

Esiste un legame tra società di massa e spirito borghese? Secondo Bernard Dumont, sì. Secondo noi, no. La storia delle idee è una specie di macchina della meraviglie, dentro vi si può mettere di tutto e trovare di tutto. Le genealogie talvolta ricordano certi giochi di società. Cosa che del resto accade anche con le tipizzazioni astratte che quasi sempre discendono da filosofie della storia ex post.

Atteniamoci perciò alla storia sociale, alla storia reale. Cosa ci mostra? Che tra la società borghese dell’Ottocento e la società di massa del Novecento c’è un abisso.

Una forte cesura che non può non essere presa in considerazione dal punto di vista della concreta analisi sociologica – se proprio ci si tiene così tanto – dello spirito borghese. Senza però mai dimenticare che si tratta di determinazione concettuali ex post. E che una cosa è lo spirito liberale e borghese di Guizot, un’altra lo spirito welfarista di Macron. E soprattutto che lo spirito welfarista del Novecento non dipende dallo spirito liberale e borghese dell’Ottocento, ma dalla società di massa, bisognosa di uno stato che si dice capace di vedere e provvedere. Di qui il ruolo fondamentale della tecnologia, anche sociale, sconosciuto allo stato guizotiano e limitato dell’Ottocento. L’hybris tecnologica rinvia ai grandi numeri, alle grandi masse novecentesche e ai miti perfettisti, tra i quali quello della tecnologia salvatrice, capaci di ammaliare e dominare le masse.

Come fuoriuscire dalla società di massa, senza però cadere nel rigido censitarismo della società liberale ottocentesca? L’impresa è veramente ardua.

Potrebbe essere una questione di leadership. Di “uomini della provvidenza”. Augusto Del Noce, per ricordare le sue parole, si fece promotore di una “conciliazione di cristianesimo, di liberalismo e di socialismo etico a cui mirava il maggiore teorico del liberalismo non perfettistico e cattolico, Rosmini”. Una fattiva sintesi alla quale, aggiungeva Del Noce, si ispirò “ per una singolare coincidenza, probabilmente senza influenza diretta da Rosmini, quello statista cattolico, anche lui trentino, di cui si deve sempre più apprezzare e intendere la grandezza, De Gasperi” (***).

Dove però trovare oggi un altro De Gasperi?

Carlo Gambescia

(*) Su quest’ultimo punto si veda Carlo Gambescia, “Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico”, postfazioni di Alessandro Litta Modignani e Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2021, pp. 112-114.

(**) Si veda Augusto Del Noce, “L’epoca della secolarizzazione”, Giuffrè, Milano 1970, in particolare pp. 179-201 (La morale comune dell’Ottocento e il mondo di oggi”, cit. p. 192), pp. 203-222 (“Significato presente dell’etica rosminiana”), pp. 239-251 (“Croce e il pensiero religioso”).

(***) Augusto Del Noce, “I cattolici e il progressismo”, prefazione di Rocco Buttiglione, Leonardo, Milano 1994, p. 62.