La sentenza del Tar riporta indietro all’ Italia fascista, che – mai dimenticarlo – introdusse l’Ordine dei Giornalisti per far scrivere solo i tesserati al partito fascista. All’epoca per pubblicare occorrevano due tessere, quella fascista e quella di giornalista. Puro corporativismo fascista. Nessuno licenziava, però si doveva dire quel che voleva il Duce.
La Repubblica eliminò la tessera fascista e chiuse un occhio sulla seconda. Ma tuttora per essere direttori responsabili, con alcune eccezioni “politiche” , si deve essere almeno pubblicisti. Titolo magari conseguito con un pugno di articoli sulle crocchette per gatti.
Cosa sostengono i giudici del Tar? Che i giornalisti della Rai, sono assimilabili ai funzionari della pubblica amministrazione e che di conseguenza le norme sull’accesso agli atti hanno la meglio sul diritto/dovere del giornalista di tutelare le proprie fonti. In soldoni, nel caso specifico si tratta del programma “Reporter”, diciamo sotto minaccia di querela.
Cosa accadrà? Che, se il Consiglio di Stato non “ribalterà” la sentenza, il suo conduttore Giovanni Ranucci, quale funzionario pubblico, dovrà rivelare ai giudici le fonti della sua inchiesta sugli appalti pubblici in Lombardia.
Dal punto di vista dell’informazione di stato – perciò di una logica giuridica fascista – il ragionamento dei giudici non fa una piega. La Rai è un grande ministero. Ergo…
E come replicano l’Ordine e l’Usigrai? Con l’antifascismo? No chiedono soccorso al Duce… Diciamo che chiedono aiuto al datore di lavoro: Governo e Parlamento. Si legga qui: corporativismo fascista allo stato puro.
«(…) Un atto che apre “un precedente pericolosissimo”.
Rispettare le sentenze, sottolineano dal sindacato, “non vuol dire non poterle criticare. E anzi sono l’occasione per chiedere nuovamente a governo e parlamento la necessità di un chiarimento urgente sulla natura giuridica della Rai. I giornalisti che fanno informazione in Rai non possono essere paragonati a funzionari della Pubblica Amministrazione. Pertanto le norme sull’accesso agli atti devono soccombere di fronte al diritto / dovere del giornalista di tutelare le proprie fonti. Altrimenti nei fatti si azzererebbe qualunque possibilità per i giornalisti Rai di fare il proprio lavoro, e ancor di più di fare giornalismo investigativo, così come nei doveri del Contratto di Servizio” » (*).
Capito? Si pretende di lavorare per lo stato fascista ma al tempo stesso di godere delle stessa libertà di chi lavora nel privato, diciamo in ambito antifascista… Quanto alla distinzione tra giornalismo informativo e investigativo si veda l’illuminante analisi di Carlo Pompei (**).
Certo, i diritti e i doveri del giornalisti devono valere per tutti, quanto meno formalmente. Però come? Qui, la vera risposta non è nel chiarire la posizione giuridica della Rai, introducendo qualche deroga e amici del fascio come prima, come supplicano l’Ordine e il Sindacato. Ma nel privatizzare la Rai, fuoriuscendo, e in modo definitivo, dalla mentalità fascista del pubblico funzionario. Insomma lo stato, anche se repubblicano, è il problema non la soluzione…
Solo così Ranucci potrò finalmente condurre in porto, da libero giornalista, le sue inchieste, armato di diritti e di doveri, come tutti suoi colleghi che lavorano nel privato.
E invece, si gioca di furbizia. Si pretende la sicurezza del posto di lavoro, come sanno gli assunti in Rai, cosa, per inciso, che il giornalista che lavora nel privato, non ha assolutamente. Dicevamo, si vuole conciliare l’inconciliabile, fischiettando e facendo finta di non capire: conciliare la sicurezza del posto di lavoro, tipica degli statali, e il diritto, quando accade, di “smerdare” pubblicamente, senza pagare i danni, chi sia sgradito, perché anche questo capita, ai padroni politici del momento. Della Rai s’intende. Quindi i padroni pubblici, secondo la vecchia logica fascista. Il tutto in nome di una libertà di informazione di cui decide però decide una Rai ultrapoliticizzata. proprio da quei governi e partiti, ai quali Ranucci, Ordine e Sindacato chiedono aiuto. Chiudendo così il circolo vizioso del corporativismo.
Si dirà che anche nel privato, esistono limiti e vincoli editoriali. Certo. Però, non si gioca su due tavoli, pubblico e privato, scegliendo secondo le convenienze del momento l’uno o l’altro… Come invece sembra fare Sigfrido Ranucci, classico giustizialista che vuole fare la rivoluzione con il permesso dei carabinieri. Pardon, dei giudici.
Carlo Gambescia