Ogni volta che sentiamo uno di destra definirsi patriota, ci viene da ridere. Ma anche da piangere, per così dire. Da ultimo il ministro Giuli, che ricordiamo come cultore del Sol Invictus, dell’universalismo romano, nonché individualista nicciano-evoliano. Problemi – di coerenza – suoi (*).
Che senso ha dirsi patrioti? Il vocabolario Treccani definisce tale la “persona che ama la patria e mostra il suo amore lottando o combattendo per essa”. E chi non “ama” la patria che cos’è? Qui nascono i problemi. Perché lo stesso vocabolario rimanda a termini contrari come invasore, forestiero, nemico straniero.
Cioè chi si definisce patriota, per principio, divide il mondo in due, da una parte i buoni dall’altra i cattivi. Si delegittima l’altro. Si cercano guai: patrioti, contro tutti gli altri. Per dirla dottamente è un atteggiamento belligeno. Può portare alla guerra. In primis culturale. E poi anche a quella vera e propria.
Ma allora, gli ucraini, e andando a ritroso, i combattenti della Resistenza e gli italiani del Risorgimento? Non si definiscono e definirono anch’essi patrioti? Certamente, però un conto è quando , per reazione, ci si definisce tali. Ad esempio gli ucraini sono stati aggrediti, i resistenti torturati e imprigionati, gli italiani del Risorgimento umiliati e offesi. Un altro quando in una società aperta e pacifica, come può essere l’Italia degli ultimi ottant’anni, si continua a costruire a tavolino il nemico: l’anti-italiano, il non patriota, magari il migrante o chiunque non voti a destra.
Si dirà che la destra, alla Giuli per intendersi, parla così perché ha ricevuto ordini dall’alto. Perché, probabilmente, Giorgia Meloni e consiglieri più mediocri di lei hanno pensato che definirsi patrioti fosse politicamente più potabile che definirsi nazionalisti o sovranisti.
Insomma, la solita integrazione passiva nel sistema: si evita il termine nazionalismo, che rimanda al fascismo, per non fare i conti con una ideologia che mitizza l’idea di nazione, quindi non tanto con il Ventennio in sè. Ancora peggio perciò: fascismo forever. Classica operazione di maquillage. Trucco e parrucco.
Il che, come dicevamo all’inizio, fa sorridere. Anche perché saremmo, per dirla con filosofo novecentesco, Franco Califano, al “che te tocca fa pe’ campa’” (magari pure benino). E gente del genere, che si arrabatta con le parole, non meriterebbe neppure due righe.
Però – ecco quel che intristisce – questa gente oggi comanda. E quindi il termine patriota è sulla bocca di tutti.
Giorni fa un tassista, con il quale tra l’altro conversavamo amabilmente – dicevamo più o meno queste cose -, ci ha accusato di scarso patriottismo. “Perché, ecco la sua risposta, un buon patriota queste domande non se le deve porre”. Capito? Ci risiamo: credere, obbedire, combattere. Fine dall’amabilità. E di lì a poco, con nostro sollievo, della corsa. Questa è la situazione.
Quindi certe cose vanno scritte. Almeno due.
Prima cosa, Alessandro Giuli ha conservato l’indipendenza intellettuale di un’ ape operaia. E questo sarebbe il meno. Peggio per lui.
Seconda, si introduce nel linguaggio collettivo una terminologia discriminatoria ( proprio da parte di coloro che dicono di combattere la cultura Woke), che divide il mondo in due e lo rende peggiore. E questo è grave. Perché è peggio per noi.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.open.online/2025/05/13/alessandro-giuli-vs-massimo-cacciari-sinistra-destra-sociale/ .