Metti il Duce in prima pagina

A quasi  ottant’anni dalla caduta del fascismo, il Duce “acchiappa” ancora lettori. O comunque, come si dice, fa discutere, suscitando tuttora anche l’attenzione, ovviamente negativa, della sinistra.

La prima pagina di “Libero”è tutto un programma. Si dirà che la storia delle “telefonate” o “carte segrete” è roba fritta e rifritta (De Felice, docet). Eppure è così.  Come tutti gli editori ben sanno, basta  mettere Mussolini in copertina per aumentare le vendite. Il che spiega la prima pagina di “Libero”.

Ma, motivazioni annonarie a parte, perché il  Duce fa, per così dire, ancora notizia tra gli italiani?

Innanzitutto,  perché il fascismo ha incarnato quel versante storico  e retorico, oggi cavalcato dai populisti, affamato di cesari, condottieri e capitani. Un mondo collettivo, distinto dall’infantilismo politico, che continua a vedere nell’uomo solo al comando, “uno di noi”. Il Duce come “Duce degli umili”, insomma, il “capopolo” che vede e provvede.

In secondo luogo, gli italiani, come si diceva un tempo, sono “gente d’ordine”: alla libertà preferiscono la sicurezza, mugugnano, ma obbediscono, perché godono nel vedere ubbidire l’altro, il vicino, il capo ufficio, il commerciante: non importa che si debba abbassare la testa davanti potere, l’importante e che si pieghino tutti. Anche qui, Mussolini è tuttora visto come il castigamatti che fu capace di mettere in riga tutti, grandi e piccoli.

In terzo luogo, l’enorme forza della leggenda-Mussolini, Quale leggenda? Quella del fascismo dipinto ancora oggi come un momento unico della storia d’Italia,   basso o alto non importa, leggenda nera e bianca pari sono. Una narrazione, come si direbbe oggi, che ha contribuito alla cancellazione  della tradizione politica precedente: quella del Risorgimento liberale e dell’Italia dei Cavour e dei Giolitti.  

In che modo? Valorizzando o denigrando l’opera del fascismo:  visto dai fascisti come  momento unico  di costruzione di un nuova Italia, antiliberale,  oppure giudicato  dagli antifascisti, di estrazione cattolico-progressista e  marxista, anch’essi violentemente antiliberali,  come  momento, sempre unico, di  distruzione delle miracolose  tradizioni democratiche e socialiste.        

A farne le spese è stato quindi il liberalismo. L’Italia del dopoguerra si è ritrovata di colpo,  a torto o ragione,  priva delle sue tradizioni risorgimentali  e liberali, ignorate volutamente, per così dire, da dio e dai nemici di dio.  Un vuoto però  colmato dalla narrazione  fascista e antifascista, con al centro sempre Mussolini, nel “bene” come nel “male”…

Il che spiega, tra l’altro, perché un giornale  che si professa “liberale” come “Libero” oggi esca con la foto del Duce in divisa fascista. “Libero” di liberale non ha nulla. E, se è vero quanto fin qui sostenuto,  non potrebbe non essere così.

Un’ultima cosa:  si rimprovera tuttora  a  Croce la definizione del fascismo come invasione del popolo Hyksos. Insomma di una parentesi nella storia d’Italia. In realtà, e dispiace veramente ammetterlo, per come si sono messe le cose, purtroppo la parentesi  è quella liberale. E resterà tale, almeno fino a quando  si continuerà parlare di  “carte segrete” del Duce…

Carlo Gambescia