La Chiesa e il Ddl Zan: corsi e ricorsi sociologici

La Chiesa protesta contro alcune parti del Disegno di Legge Zan (*) , appellandosi al Concordato. Cioè, evocando uno strumento più politico che giuridico, che rinvia a una specie di confessionalismo “contrattato”.
Un confessionalismo che rappresenta l’altra faccia della medaglia di uno stato onnipotente in versione giurisdizionalista. Sono due posizioni – confessionalismo e giurisdizionalismo – assai lontane dall’idea di stato laico.

In realtà, il Ddl Zan non è che uno dei tanti tasselli di un lungo processo politico e sociale di legalizzazione e culturalizzazione delle relazioni sessuali.
A grandi linee, la cultura del libero amore tra persone dello stesso sesso affonda le sue radici proletarie nell’anarchismo e nel socialismo libertario dell’Ottocento. Non va però neppure dimenticata, sotto l’aspetto aristocratico e alto borghese, la diffusione settecentesca del libertinismo, corrente filosofica dai ricchi risvolti per alcuni sessuali, per altri erotici.

Sono moderne correnti di idee, di natura individualistica, che in risposta alla visione punitiva del sesso, tipica del cristianesimo, ancorata alla prevalenza delle istituzioni sull’individuo, hanno portato avanti le idee opposte. Identificandole, soprattutto nel caso del socialismo, con un ordine sociale rivoluzionario, oppure, al contrario, con il mantenimento dell’ordine politico, prima aristocratico poi borghese, come caso delle correnti libertine, attente in particolare alla libertà sessuale.

Il Sessantotto e la controcultura hanno amplificato la questione. In che modo? Rilanciando il tema più generale delle liberazione sessuale di derivazione socialista, anarchica e libertina all’interno di una società dalle rilevanti tendenze all’assistenzialismo sociale.
L’ altro fatto nuovo va invece ravvisato dal decollo, anche accademico (in particolare Oltreoceano), del culturalismo nelle scienze sociali. L’idea base del culturalismo è molto semplice: l’uomo è ciò in cui crede (o meglio ciò in cui viene costretto a credere). Sicché si ritiene che cambiando la cultura umana a colpi di legge muti anche l’uomo. Per inciso, il Ddl Zan all’articolo 1, che definisce genere, orientamento e identità sessuale, è una specie di manifesto politico o meglio ancora un concentrato ideologico di culturalismo.

Di conseguenza, per un verso va registrata nei successivi cinquant’anni la ripresa dell’idea di amore libero, estesa, in nome di un processo di inevitabile liberazione degli istinti, a ogni tipo di rapporto sessuale, anche tra persone dello stesso sesso. Dal momento che, come ripeteva la vulgata politico-accademica, l’uomo e la donna sono ciò in cui vogliono credere, al di là di qualsiasi limite biologico e sociale. Sotto questo aspetto va ribadito che la cultura di genere non è altro che un prolungamento del culturalismo. Perciò di “una” visione della realtà. Non “della” realtà in quanto tale.

Per l’altro verso, si è manifestato un poderoso sforzo legislativo, facilitato dal paternalismo sociale di stato ( il cosiddetto welfare state). Un processo, che ora sembra culminare, anche in Italia, nella legalizzazione di qualsiasi forma di relazione sessuale come nella repressione dei nuovi reati di natura omofoba. Il tutto, sia detto per inciso, presentato come “la” realtà, tradendo così i presupposti culturalisti (e relativisti) della cultura di genere.

Ovviamente, la Chiesa, per tradizione, e i gruppi (sessualmente) conservatori scorgono in questo processo una specie di rovesciamento di valori. E così è, dal punto di vista della morale sessuale tradizionale. Tuttavia, i conservatori non capiscono che il vero problema non è il rovesciamento dei valori tradizionali, ma il fatto che governo e stato sono i principali attori di questo processo.

L’aspetto grave della questione non è perciò rappresentato dai contenuti culturali e sociali ma dalla forma del processo politico, che rimanda a un poderoso potere istitutivo e istituzionale.
Per capirsi: la rivoluzione individualista, che concettualmente è alla base dell’idea di amore libero, cessa di essere tale quando finisce nelle lunghe e nodose mani di stato e governo. Detto altrimenti: ciò accade inevitabilmente quando i diritti dallo stato gassoso dei desideri individuali passano direttamente allo stato solido dei diritti sanciti dalle leggi, saltando lo stadio intermedio del costume sociale.

Siamo così davanti a una trasformazione condotta in modo autoritario, come un tempo fu per il giuseppinismo ( o giurisdizionalismo), dal potere politico. Al quale però la Chiesa si rivolge in chiave clericale, cercando di patteggiare, nella speranza di ottenere favori concordatari, nel quadro di una specie di welfare state confessionale.

Si dirà che negli ultimi cinquant’anni la mentalità è cambiata e che finalmente è giunto il momento eccetera, eccetera. Diciamo che sono punti di vista. Quel che il sociologo scorge, per dirla tecnicamente, è un processo di istituzionalizzazione-razionalizzazione di nuovi diritti in chiave culturalista, nel quadro impositivo del welfare state.

Detta diversamente: basta scorrere il Ddl Zan, soprattutto l’articolo 7, che istituisce una Giornata Nazionale contro l’Omofobia, eccetera (*), per accorgersi che i persecutori di un tempo rischiano di tramutarsi in vittime, come del resto le vittime di ieri nei carnefici di oggi.
Corsi e ricorsi. Sociologici. Hic sunt leones.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/356433.pdf