I pericoli del “forgotten men” al potere
L’infantilismo protezionista
Come ieri abbiamo accennato il protezionismo è una reazione istintuale, incolta, infantile. Uno “smanacciare” irriflesso, spontaneo, che dal punto di vista del ragionamento fa pensare a quei giocatori di scacchi incapaci di andare oltre una o due mosse. Spesso, si tratta di bambini, presuntuosi e irruenti che ritengono di saper giocar a scacchi. E invece…
Il protezionismo, sotto il profilo antropologico e storico, poggia sul mito autarchico: del non avere bisogno di nessun apporto esterno, economico, politico e culturale. Rinvia al mondo pre-moderno e pre-capitalistico del guardarsi in cagnesco per poi massacrarsi fino all’ultimo uomo, come fra tribù primitive.
Oggi, dove tutti hanno da guadagnare dal libero commercio, come avevano ben capito Smith e Ricardo, il protezionismo, se condiviso collettivamente, si qualifica come un’ideologia retrograda, da sconfitti della storia, da perdenti sociali, da individui privi di qualsiasi cultura economica e politica, rosi dall’invidia sociale, che ritengono di poter risolvere le grandi e complesse questioni economiche chiudendosi in casa e buttando la chiave. Antropologicamente, se ci si passa l’ immagine, il protezionista fa pensare a un bambino capriccioso, che piange e strepita…
Parlavamo dell’ incapacità di comprendere le mosse successive. Si pensi alle decisioni di Trump. Possibile che il presidente statunitense non abbia compreso che alla sua prima mossa seguiranno contromosse, di segno contrario, e così via, secondo una precisa escalation economica? In fondo alla quale c’è il rischio di un impoverimento generale dovuto al crollo delle esportazioni mondiali? Purtroppo, sembra non essere servito a nulla l’esempio negativo di economie chiuse, fallite clamorosamente, dalle macro, come la sovietica, alle micro, come l’Albania comunista. E neppure, per contro, quale esempio positivo, le aperture al mercato mondiale della Cina, paese che oggi, paradossalmente, difende il libero commercio. Cosa che invece, per tradizione, toccherebbe agli Stati Uniti.
Ma non è solo una questione economica. C’è la politica. Il protezionismo è apportatore di conflitti, come nei decenni precedenti alla Prima e Seconda guerra mondiale. Il protezionismo intossica il clima di collaborazione tra i popoli, già di per sé non facile da realizzare. Per contro, il libero commercio, tendenzialmente, favorisce la civilizzazione dei rapporti economici e la sostituzione della competizione pacifica al conflitto militare, come del resto accade grazie alla democrazia rappresentativa, contraltare politico del mercato, che privilegia la scheda elettorale al proiettile.
Si dirà, la Cina, paese esportatore, con un costo più basso del lavoro rispetto agli Stati Uniti, ha tutto l’interesse a difendere il libero commercio. E allora l’Europa, dove il costo del lavoro è più alto di quello americano e quello cinese? Che invece difende la libertà di commercio?
Stupidità. No preveggenza. Perché l’Europa è memore, culturalmente memore, dei guasti del protezionismo e delle chiusure economiche nazionaliste: scelte, politicamente autarchiche, che hanno provocato sul suolo europeo due guerre catastrofiche. Pertanto il no dell’Europa al protezionismo è prima che economico, culturale e ragionato.
La questione della memoria storico-culturale è importantissima perché rinvia a tradizioni, complesse, che possono essere conservate e trasmesse solo dalle élites. E il mercato, meccanismo complicato, tendenzialmente pacificatore, appartiene all’ universo dell’intelligenza elitaria. Non tutti sono in grado di capirne i benefici. Figurarsi i popoli che hanno memoria corta, generazionalmente corta: i popoli dimenticano presto, tutto, il bene come il male. Hanno scarse capacità di concentrazione, in questo simili ai bambini e ai pessimi giocatori di scacchi. Il che significa che i popoli, soprattutto a livello di massa, privilegiano le semplificazioni e l’immediatezza: le reazioni istintive ai ragionamenti complessi. E guai a vellicarle.
Pertanto, certi valori possono essere compresi e valorizzati solo dai pochi, dagli adulti, dai migliori. Con Trump, purtroppo, è andato al potere, un uomo politico improvvisato e mai cresciuto, Ha vinto grazie ai voti di “bambini-elettori”, altrettanto immaturi. Insomma, ha trionfato il cosiddetto “forgotten men” celebrato anche dal rozzo populismo europeo. Di qui, il ritorno, per ora negli Stati Uniti, dell’infantilismo protezionista.
Carlo Gambescia