Franco Battiato, tra caso e necessità

Franco Battiato, scomparso ieri a telecamere riunite, e non per demerito della famiglia (riservatissima su malattia, morte ed esequie), è la prova provata, come recitano i versi di una sua famosa canzone,  che oltre all’inglese neppure la dieta vegetariana può salvare.

Battiato era vegetariano dichiarato, eppure una “vita sana” non lo ha salvato dal morbo di Alzheimer (o comunque da una forma, forse precoce, di demenza senile).  Ciò significa, che di fronte alla morsa  del caso e della necessità, il genio o l’ intelligenza non possono nulla. E neppure l’ambiente e  una vita sociale, lontani dai tumulti come dalle bistecche.

Così è. Come del resto ripeteva l’antica  saggezza dei  nonni, prima che trionfasse l’Idrolitina (altra citazione da Battiato): “quando tocca, tocca”. 

Purtroppo,  non si sceglie di nascere (il ruolo del caso) ma  neppure quando e come morire: si vive così di necessità (stretti tra la nascita e la morte). C’è chi il suo tempo  lo  spende bene, chi male. Battiato ne ha fatto tesoro, strappando il meglio  alla necessità, grazie ai suoi geni, poi però  mostratisi infedeli.

Ha tratto il meglio per sé e per gli ammiratori, inventandosi  un sincretico pop aforistico, ricco di concetti, per capirsi alla Adelphi prima maniera:  metafore  fulminanti,   musiche  ipnotiche   e deciso rifiuto del progresso e della modernità.

Inutile  interrogarsi sulla sua appartenenza politica: il nichilismo eroico di Battiato,  può essere tuttora  condiviso dalla destra evoliana che cavalca la tigre Rai, come dalla sinistra alternativa dei tarocchi, del pecorino zen e del fruttato…

Ovviamente,  chi scrive non è un musicologo, quindi non può apprezzare né spiegare  il suo sperimentalismo,  eccetera, eccetera. Qualcosa  però si può dire. Il suo pop, nel senso di fare canzoni capaci di arrivare a tutti, ricorda il “Gadda spiegato al popolo”: anatema critico,  scagliato dall’accademia letteraria italiana, contro i romanzi di Brera, geniale giornalista  ma sportivo, quindi un fuoricasta.

Nel caso di  Battiato si potrebbe perciò  parlare, anche considerati i contenuti pittorici  e cinematografici della sua produzione, di una specie di Guénon spiegato al popolo. Senza però umiliarlo o sminuirlo. Un Guénon, forse di  inconsapevole filiazione intellettuale, perché i suoi  aforismi canori, come una volta il cantante rispose a Fazio (in veste di suo Giovanni Battista ma con la testa saldamente attaccata al collo), erano ripresi  da tutte le religioni, come pure dalle più differenti  scuole spiritualistiche.    

Si potrebbe definire Battiato un geniale e sincretico divulgatore di concetti estranei, fino al suo avvento,  all’universo canoro del pop tradizionale.  Una specie di Gianni Brera musicale.

Oggi, ovviamente, post mortem,  tutti  piangono “il filosofo”, a partire da Pippo Baudo… Filosofo  che probabilmente Battiato  non fu,  proprio  come Brera non fu scrittore con la esse maiuscola. Il punto,  quello del fuori casta e dei suoi riflessi autobiografici, andrebbe approfondito. I futuri biografi prendano perciò nota: Battiato percepì questa sua minorità filosofica? Ed eventualmente come la visse? “Alla sicula”, forse? Terra  eletta di un successo letterario, quando  e se  giunge da vivi, sempre in agrodolce, segnato da  inveterate scontentezze esistenziali e rapsodiche concessioni alla vanità.      

Forse, in una delle prossime vite, lo spirito di Battiato andrà a reincarnarsi nel corpo di un novello Platone.  Anch’esso però ristretto, una volta sceso in terra,  tra le ferree regole del caso e della necessità.  Del “quando tocca, tocca”…                 

Carlo Gambescia