Draghi e la strategia del ragno

Se si  dovesse dare un giudizio sull’operato di Draghi a poco più di  una settimana dal suo insediamento, si potrebbe parlare di strategia del ragno, ovviamente all’interno di un preciso quadro ideologico: quello statalista.  

Diciamo che se Conte era uno statalista improvvisato, Draghi lo è di lungo corso, almeno da quando era  direttore generale del Tesoro. Un statalista, che però ha letto Machiavelli. E che perciò ha una visione strategica da ragno che tesse la sua tela.

Il che spiega la differenza con Conte, “principe”, non per meriti propri,  che si sforzava di essere amato, mentre Draghi, che parla pochissimo, e che di meriti proprio può vantarne (il che però non significa che ne abbia al di là della grandissima abilità relazionale),  cerca,  se non di essere odiato sicuramente temuto e soprattutto di  tessere  una ragnatela di comando.  Del resto, come non molti sanno, sembra che al Tesoro si comportasse come un burbero comandante militare. Certo allora era giovane e presuntuoso (senza magari darlo troppo a vedere, proprio come oggi).      

Si prenda ad esempio la sostituzione di Arcuri al Commissariato con il generale Figliuolo. Draghi ispirandosi a  Machiavelli  ha subito eliminato l’uomo più impopolare,  al quale sono state addossate ( in larga parte meritate) le colpe  della cattiva gestione dei vaccini.  Una specie di capro espiatorio,  al quale viene tagliata la testa: ghigliottina  che però non risolve la questione dei vaccini.  Nodo che invece  rinvia a problemi strutturali: lo stato, proprio perché stato,  non ha i soldi, non ha autorità,  non sa come organizzarsi. Però può gonfiare il torace, magari quello di altre teste di legno, come Draghi sa bene.

Che cosa ha fatto in sostanza Draghi? Ha preso  una decisione a basso costo politico, che accontenta destra e sinistra. Ha messo  al posto di Arcuri, un militare: un tecnico, ancora più statalista di Arcuri (se lo si può essere),  uso  come un carabiniere a obbedir tacendo.  In qualche misura, il nuovo commissario, non è Figliuolo ma Draghi stesso, che ragiona come un  Direttore Generale del Tesoro che mette nei posti chiave della piramide ministeriale suoi uomini, per garantirsi dai cambi politici e favorire al tempo stesso l’esecuzione immediata dei suoi ordini.  

Cosa che Draghi  ha già attuato  per i dicasteri economici inserendo uomini propri. Si potrebbe parlare di statalismo familistico, nel senso di una famiglia di tecnici fedele a Draghi, come a un padre vecchio stampo: volatili predatori – tutti, padri e prole – prontissimi a piombare sulle prede dalle alte vette dello stato. Capacità di rapace che Giuseppe Conte non aveva, o che comunque  improvvisava.

Quindi ora cosa succederà? Che la sfida si sposterà sulle quantità di vaccino da acquistare e sulla distribuzione. Cioè i problemi rimangono quelli di prima.  Ai quali Draghi, come prima Conte, difficilmente potrà dare soluzione. Però a differenza di quest’ultimo Draghi sta circondandosi di fedeli esecutori. E probabilmente, gioca anche sul fatto,  che potrà giustificare eventuali fallimenti con la breve durata per ragioni istituzionali del suo governo, dal momento che il prossimo anno si dovrà votare.  Il che spiega anche perché Mattarella, un democristiano sopravvissuto a tre repubbliche (altro abilissimo tessitore) lo abbia chiamato: chiudere in bellezza il settennato con la “coccardina” Draghi infilata all’occhiello della giacca.                                

Inoltre Draghi  parla poco, perché, come detto, piuttosto che amato preferisce essere temuto. Magari lascia circolare voci, poi facili da smentire, come quella sui milioni di vaccini di cui parlavamo ieri.

Draghi, sebbene notissimo, sembra non fare ombra a nessuno. Ha il fascino, come Richelieu e Mazzarino, della discrezione (più di nome che di fatto). Il che tra l’altro lascia spazio a interpretazioni benevole a proposito del suo operato, Interpretazioni che rinviano a due fattori tipicamente italiani: il conformismo verso il potere dei mass media e l’eterno fascino esercitato sui nostri connazionali da uomini della provvidenza severi ma giusti, come molti si compiacciono di definirli.

E intanto Draghi, che sostanzialmente riflette con la sua figura un  sistema di relazioni comando-obbedienza antichissimo, diremmo atavico, tesse la sua tela da perfetto ragno. Per Mattarella? Per l’Unione Europea? Per gli Usa?  Per qualche misterioso sponsor geopolitico?   No, più semplicemente per se stesso. Il resto è solo  effetto di ricaduta.

Uomo di straordinaria ambizione (il che per carità entro certo limiti non guasta mai), che però da buon lettore di Machiavelli dissimula.  Come del resto  attesta la sua prodigiosa carriera universitaria, di  professore ordinario con titoli monografici a dir poco stringati (*).

Draghi non è un uomo ma un sistema di relazioni avviluppanti: una tela degna di un aracnide. Forse ragno e scorpione al tempo stesso. E comunque sia, ripetiamo, gran tessitore, ma non in conto terzi.

Carlo Gambescia

(*) Qui un nostro post in argomento: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/quanti-libri-ha-scritto-il-professor-draghi/   .