Dal Pci ad Hammamet

Ieri sera la Rai ha trasmesso sulla terza rete il film di Gianni Amelio su Craxi, “Hammamet”. Non potevo non rivederlo, per mettere meglio a fuoco le idee.

Il film, in sé, come molte pellicole del colto regista calabrese, oggi settantenne, merita, come si dice, il costo del biglietto.

Gli attori sono bravi, la fotografia è molto bella (la location della villa è quella originale), il ritratto del protagonista, tra arroganze e abbandoni legati alla malattia, assume una sua cifra tragica, che pur non elevandosi alle altezze di certi film di Visconti, ha una sua nitida coerenza. Mai nel film si sfiora il patetico.

Non è di questo che però desidero parlare. Ma del comune sentire di certa sinistra, che Amelio, seppure mai organico al partito comunista, ha finito, magari suo malgrado, per condividere.

Manca infatti nel film una riflessione storica sul perché Craxi era così odiato dai comunisti. Che, in qualche misura, facilitarono in opere e omissioni l’opera dei giudici milanesi, tutti rigorosamente filocomunisti, a parte forse una o due eccezioni. Tutti comunque – i giudici – su posizioni contrarie alla svolta socialdemocratica di Craxi.

Uomo sgradevole, autoritario, di un cinismo urticante. Tuttavia il leader socialista aveva visione politica, fuori dagli storici schemi di un fumoso comunismo all’italiana come del purtroppo classico socialismo parolaio.

Di conseguenza Craxi condizionò, spiazzandolo, il Pci, durante e dopo Berlinguer. Un partito – ecco il punto – ancora legato agli schemi operaisti del conflitto sociale quando occorreva, oppure altrettanto capace (il famigerato “contrordine compagni”) di legarlo, minacciando lo scontro, agli equilibri occasionali, filogovernativi (come nei famosi governi di unità nazionale fine anni Settanta).

Tattica, più o meno leninista, senza però la strategia di Lenin, e neppure quella di Herbert Wehner , il padre ideologico della svolta socialdemocratica di Bad Godesberg.

Insomma, un Pci incapace di scegliere tra l’ anticapitalismo machiavellico e il sincero riformismo socialdemocratico

C’è un passaggio rivelatore nel film: quando il figlio di un dirigente socialista, suicidatosi, perché travolto da Mani Pulite, sostiene che il padre non avrebbe mai dovuto togliersi la tuta da operaio, anche da dirigente. Pura mitizzazione. E Craxi tace, forse acconsentendo, per ottenere l’assoluzione del regista e dei tanti intellettuali dolenti come Amelio. Per carità, ripeto, in buonissima fede.

L’operaismo, da non confondere con il laburismo britannico. storicamente parlando, è un’autentica maledizione ideologica: per un verso ha impedito al partito comunista italiano di socialdemocratizzarsi, dipingendo alla Guttuso l’operaio e il sindacato come una specie di gloriosa avanguardia rivoluzionaria, però sottomessa machiavellicamente al partito (il contrario del laburismo inglese); per l’altro ha paralizzato l’evoluzione del partito comunista verso una visione riformista del capitalismo, proiettando l’ombra da Belle Dame sans Merci del conflitto di classe su ogni rapporto sociale.

Alle origini psicologiche e umane del mito operaista risiede il complesso di colpa del dirigente comunista, affranto per la sua provenienza borghese. Il che spiega il mistero di tanti intellettuali di sinistra, coltissimi come Amelio, ma proprio perché tali portati tuttora a mitizzare l’operaio. Con la differenza che in passato l’operaismo che finiva per prevalere era sempre quello autorizzato dal comitato centrale del partito comunista (di qui le scissioni, “idealistiche” a sinistra, ma questa è un’altra storia…). Oggi diciamo si va più a briglia sciolta, ma lo “stampo” è quello.

Per fare una sintesi brutale: tanto più colti, perché borghesi, magari solo per percorso di studi, quanto più grande il senso di colpa, quindi tanto più comunisti e operaisti, anche senza tessera.

Figurarsi l’odio dei comunisti verso un Craxi che parlava a tutti, persino con i fascisti. E che in questo modo condizionava il partito che fu di Togliatti: faceva sentire i comunisti sorpassati, puri e semplici reperti archeologici della politica.

Cosa che spiega il riflesso moralista dell’ultimo Pci, aggrappatosi all’imperativo kantiano, perché non più in grado di spiegare in chiave operaista le trasformazioni sociali degli anni Ottanta del Novecento. Che invece Craxi aveva intuito. Quindi non solo tangenti.

Di tutto questo però nella bella pellicola di Amelio non c’è traccia

Carlo Gambescia