Quando si parla di antipolitica, il pensiero dovrebbe subito andare a Napoleone, di cui oggi si celebrano – in Italia, con una certa enfasi – i duecento anni dalla morte.
Perché? Per la semplice ragione che il “Grande Corso”, azzerò ogni forma di discorso pubblico liberale, quindi di politica, addomesticando la pubblica opinione e impedendo il proseguimento di quelle sane riforme politiche contenute nella prima fase, quella costituzionale, della Rivoluzione francese.
Si legga ciò che ne scrisse allora, senza peli sulla lingua, Constant, che pure alla fine, durante i Cento Giorni, subì il suo fascino, accettando di scrivere, invitato da un Napoleone con l’acqua alla gola, una costituzione più liberale.
Ecco, il grande fascino di Napoleone… Qui, il vero problema. Si tratta dello stesso insopprimibile fascino che hanno sempre emanato gli uomini forti, a partire da Alessandro e Cesare. E che tuttora continuano a esercitare.
Il che spiega l’enfasi giornalistica, diremmo femminea, per un uomo che, è vero che contribuì a chiudere la Rivoluzione francese e diffonderne gli ideali, ma come? Con gli eserciti, le rapine, le false promesse. Con ciò che si potrebbe chiamare realismo politico criminogeno. Su quest’ ultimo punto, i giustiziati della Repubblica napoletana del 1799, abbandonati da Napoleone, in altre faccende affaccendato, al loro destino, ne sono tuttora la riprova storica.
Pertanto si deve distinguere – come del resto risulta dalle pagine di grandi storici liberali come Guizot e Tocqueville – tra il Napoleone, da alcuni giudicato, e non a torto, un tiranno, e gli effetti benefici – sul piano del risveglio delle coscienze liberali e della nascita di nuove amministrazioni pubbliche – dei colpi dei cannone, caricati a mitraglia, sparati dalle artiglierie napoleoniche.
Si pensi, proprio in termini di effetti non voluti delle azioni politiche, ai milioni di coscritti (per l’epoca una novità assoluta), come pure alle decine di migliaia di funzionari, non solo francesi, tutti mobilitati da Napoleone, per stendere il suo manto imperiale sull’Europa continentale, addirittura fino a Mosca. Dopo la sua caduta, coscritti e funzionari sarebbero andati a ingrossare le fila dei quadri politici delle rivoluzioni liberal-nazionali dopo il 1815. Anche, anzi soprattutto, riflettendo sugli errori politici dell’ autocrazia napoleonica.
Dall’idea di Impero francese, per reazione, grazie (per così dire) a Napoleone, nacque quella di stato-nazionale. E con quest’ultima idea, sempre per contrasto, quella di costituzione liberale, capace di mettere il bavaglio agli uomini forti, troppo forti.
Ovviamente, esiste anche il romanzo d’appendice di e su Napoleone: quello di Giuseppina, delle aristocratiche amanti francesi e polacche, dell’Elba, di Sant’Elena, dei veleni e degli ultimi anni, di un Napoleone iconografico che da lontano osserva il mare, confondendo il proprio tramonto, con quello del sole sulle acque dell’ oceano. Ci si accomodi pure…
Ciò che invece resta importante, per lo storico come per il sociologo è non confondere la leggenda (nera o meno) su Napoleone, da cui nasce il controverso fascino (anche in negativo) per l ‘uomo forte, con i valori indotti, suo malgrado, come spesso capita nella storia, attraverso le punte delle baionette francesi. Probabilmente Napoleone ne era consapevole, ma nonostante ciò o forse proprio per questo, ne frenò il cammino.
Ma fino a un certo punto. Non per nulla, nel 1840, Guizot, grande studioso e politico liberale, tra i teorici della Francia orleanista, favorì il ritorno a Parigi delle spoglie di Napoleone. La celebrazione, grandiosa e solenne, che attirò folle per l’epoca inconsuete, rappresentò la riconciliazione della Francia liberale con quella napoleonica.
Ma per poco. Nel 1848, e poi con un colpo di stato nel 1851, la Francia, con Napoleone III (Carlo Luigi, figlio del fratello Luigi) riprese il cammino dell’avventurismo politico, per alcuni ancora oggi eroico, della tradizione napoleonica. Di cui, a dire il vero, ne trasse beneficio anche l’Italia cavouriana.
Un Secondo Impero, quello francese, che però terminò bruscamente, dopo la disfatta del suo esercito, con la proclamazione nella Galleria degli Specchi di Versailles nel 1871 del Secondo Reich germanico. Altro Impero…
Al quale ne sarebbe seguito, il secolo dopo, un Terzo. Con Hitler al comando.
Carlo Gambescia